La vita della piccola Inn Gregory è appesa ad un filo: le macchine che tengono in vita la piccola affetta da una patologia mitocondriale potrebbero essere staccate a breve. Cresce la tensione fra Italia e Regno Unito.
Indi Gregory è la neonata di otto mesi affetta da patologia mitocondriale, giudicata dai medici inglesi inguaribile, la cui famiglia si sta battendo da settimane per evitare di staccare la spina. Intanto il tempo scorre e per le 15 di giovedì 9 novembre 2023 (ore 14 nel Regno Unito) è previsto lo spegnimento delle macchine che la tengono in vita.
I genitori Dean Gregory e Claire Staniforth hanno già ribadito di essere contrari a questa decisione, specialmente in seguito alla disponibilità giunta direttamente dall’ospedale Bambino Gesù di Roma. Corsa contro il tempo per evitare la decisione, ma la questione è alquanto complicata per tutta una serie di motivi.
La storia
Il destino della piccola sembrerebbe già scritto sulla carta, almeno secondo quanto riportato dal giudice dell’Alta Corte di Londra. Fissati i termini per interrompere il supporto vitale alla bambina, negato anche il diritto alla famiglia di portare la piccola a casa, nel Derbyshire.
La famiglia avrebbe indicato un luogo più adeguato per il suo addio, ovvero la loro casa, ma la giustizia inglese ha ribadito che in alternativa potrebbe essere lasciata nell’ospedale di Nottingham, luogo in cui è attualmente ricoverata, oppure in un’altra struttura.
The British judiciary has ordered the removal of life support for 8-month-old baby Indi Gregory tomorrow. Indi, who was recently baptized, has been suffering from Mitochondrial disease. The withdrawal of life support has been opposed by her parents. Recently, the Italian… pic.twitter.com/LqpqFucI9z
— Sachin Jose (@Sachinettiyil) November 8, 2023
L’Alta Corte di Londra ha confermato che proseguire con la ventilazione artificiale sarebbe una forma di accanimento terapeutico che farebbe soffrire la piccola. Indi Gregory è affettata da una grave patologia mitocondriale, giudicata dai medici inglesi come incurabile, nonostante questo l’ospedale Bambino Gesù di Roma si è detto disponibile ad accoglierla.
E pensare che l’Italia le ha concesso durante gli scorsi giorni la cittadinanza italiana. La sentenza, però, ribadisce che ciò sarebbe inutile e anche sintomo di sofferenze per la piccola. Inevitabile in questi casi la tensione per un caso che sta facendo discutere anche il Governo italiano e il Regno Unito.
Tensioni Regno Unito-Italia, le parole dei genitori
Al momento l’unico spiraglio da un punto di vista legale è rappresentato dai ricorsi che i genitori della piccola potrebbero presentare, cosa fra l’altro già annunciata. Nonostante la tempestiva concessione della cittadinanza italiana, però, nulla è servito a modificare la sentenza nel Regno unito. Si parla del “miglior interesse per Indi”, da qui i timori di prolungare le presunte sofferenze, per un epilogo di vita che sarebbe stata indicato come ormai “segnato”.
Intanto Dean Gregory, padre di Indi, ha parlato ai microfoni di Repubblica, sperando che qualcosa possa cambiare. “Sono orgoglioso che mia figlia sia italiana, grazie di cuore al vostro governo, al vostro ospedale, al vostro popolo, vorrei che anche i politici britannici la pensassero così“, ha ribadito. Il 37enne lotta da settimane, insieme alla moglie Claire, per una difficile battaglia di natura processuale.
I genitori sostengono che ci siano ancora speranze, ma intanto Indi resta ricoverata al Queen’s Medical Hospital di Nottingham. Nonostante la sua malattia, infatti, la piccola risponderebbe agli stimoli, sorridendo e muovendo anche le braccia.
Intanto l’avvocato della famiglia, l’ex parlamentare Simone Pillon, ha ribadito di lottare contro il tempo per provare ad evitare il peggio. “18 ore di atti da leggere, scrivere, tradurre. Poi penso a Dean in ospedale con la sua piccola e vado avanti. Non c’è nulla di più difficile che argomentare l’ovvio: pagine e pagine per spiegare che i bambini non si lasciano morire. In un mondo normale basterebbero 2 lettere: NO“, commenta Pillon su Facebook.