Dal 2024 cambiano i requisiti per andare in pensione: cosa prevede la Legge di bilancio del Governo Meloni con la proroga di Quota 103. Le novità su Ape Sociale e Opzione Donna.
Tensione politica e alla fine la soluzione tanto sperata dalla maggioranza di Governo: proroga di Quota 103, Ape Sociale e Opzione Donna. E pensare che inizialmente era previsto un cambiamento con i criteri per il ritiro anticipato dal mondo del lavoro. La questione non è però esente da polemiche visto che il taglio dovrebbe riguardare circa 700mila persone.
La stretta riguarderebbe di fatto infermieri, medici, dipendenti comunali e personale scolastico della scuola dell’infanzia (maestre). Confermato il sistema di pensionamento con Quota 103 (62 anni d’età e 41 di contributi), ma con delle penalità sull’assegno che sarà calcolato con il sistema contributivo.
I requisiti della “vecchia” Quota 103 e le novità
Di fatto emerge il restringimento dei criteri per il ritiro anticipato, seppur con un sistema di penalità sull’assegno e, come già evidenziato, con il calcolo contributivo. La precedente Quota 103 prevede la pensione di vecchiaia con almeno 67 anni d’età e almeno 20 di contributi: ciò valeva per chi ha un contributo prima del 1996.
La pensione anticipata richiede 42 anni e 10 mesi di contributi per gli uomini, 41 e 10 per le donne. Si manterrà quindi fede ai 41 anni di contributi per i lavoratori precoci, nessun problema anche per i lavori usuranti: la quota inalterata è di 61 anni e sette mesi.
Le correzioni sono invece diverse rispetto alla precedente Quota 103. A cambiare è la finestra dei sette mesi per i privati, nove per i dipendenti pubblicati. Proprio nel 2024, infatti, lavoratrici e lavoratori potranno lasciare il lavoro, ma soltanto quelli nati da gennaio ad aprile. Resta in auge il divieto di cumulo con altri redditi fino alla soglia di 5mila euro. Altro aspetto è l’importo dell’assegno: sarà calcolato con il sistema contributivo.
I dettagli per Opzione Donna
Il Sole 24 Ore ha calcolato che per raggiungere i 41 anni di contributi nel 2024 bisognerà aver iniziato a versarli a partire dal 1983. Di fatto si potrebbe così rientrare nel calcolo misto che significa applicare metodo retributivo in atto fino al 1995: conti alla mano si perderebbero 12 anni di calcolo retributivo.
Come se non bastasse, inoltre, ci sarà un limite di 2.250 euro fino all’età della vecchiaia per l’importo ricevuto ogni mese. Penalizzazioni fra 20 e il 25% anche per l’uscita anticipata con Opzione Donna: potranno usufruirne le donne autonome e dipendenti con almeno 59 anni d’età e 35 anni di contributi: non varrà più per chi ha 58 anni e due figli.
La stessa cosa varrà per chi ha compiuto 60 anni e ha un figlio (non più 59 anni), così come per chi ha 61 anni (non 60) ed è senza figli. L’importante è che abbiano versato 35 anni di contributi, siano disoccupate, caregiver o invalide.
Precoci, lavori usuranti e gravosi
Confermato in questo caso anche l’anticipo per lavoratori che hanno iniziato quando erano ancora minorenni (i cosiddetti precoci). Per accedere a quota 41 si dovrà aver lavorato per dodici mesi prima dei 19 anni. Anche in questo caso bisognerà rientrare nelle 15 categorie disagiate che rientrano nell’Ape Sociale.
Di fatto, quindi, i lavoratori che hanno svolto queste attività gravose non beneficerebbero degli scatti, in merito all’aspettativa di vita, almeno fino al 2026. Per chi fa un lavoro interamente contributivo è previsto il cambio del tetto del pensionamento: al 31 dicembre 1995 dovranno risultare privi di anzianità.
Con questa procedura, di conseguenza, la soglia nel 2024 salirà a tre volte il valore dell’assegno sociale (1.521 euro lordi al mese). Nessuna modifica per lavoratrici con un figlio (2,8 volte rispetto alla pensione sociale), 2,6 per chi ha più figli.
L’assegno non potrà comunque superare il minimo stabilito dall’Inps (5 volte il valore minimo), almeno fino al requisito dei 67 anni d’età e almeno 20 di contributi. La Manovra prevede al contempo il ripristino nel 2025 dell’adeguamento automatico per le uscite anticipate: 42 anni e 10 mesi per gli uomini, 41 e 10 per le donna, a prescindere in particolare dall’età anagrafica.