Un 20enne di Pistoia si suicida nella soffitta di casa in nome di Satana. Per gli inquirenti dietro l’insano gesto si nasconde l’ombra del padre. L’uomo avrebbe istigato il figlio a togliersi la vita. La lunga lettera d’addio
La soffitta era il luogo perfetto, lontano da occhi indiscreti dove potersi rifugiarsi per ore. La storia in perfetto stile Halloween proviene da una casa di Pistoia ma il racconto dell’orrore è accaduto nel gennaio del 2018. Solo oggi, a distanza di quasi 5 anni dalla morte di un giovane 20enne suicidatosi nella casa di famiglia, spunta la tremenda verità.
Secondo la Procura che indaga sul caso, il giovane suicida si sarebbe tolto la vita tramite impiccagione, istigato dal padre. Nella soffitta di casa le pareti erano tappezzate di immagini del diavolo. Ovunque, nella stanza, vi erano statue che invocavano Satana. Ed è proprio in quell’ambiente interamente dedicato all’occulto, che il 20enne si è suicidato. Prima di commettere l’insano gesto il ragazzo lascia un lungo messaggio inquietante: “Mio padre è Satana, mi ha dato il dono dell’immortalità”.
20enne suicida in soffitta. A convincere il giovane a impiccarsi nel nome di Satana è il padre
Prima di togliersi la vita il 20enne lascia una lunga lettera scritta a mano dove spiega il motivo del suo gesto. Come riporta stamani il Messaggero, il ragazzo scrive: “Quando mio padre mi disse se ero con lui, io risposi di sì. Gli chiesi perché morirò. Il perché è logico, mi devo sacrificare per lui. È colui che mi ha creato”.
Dal suicido avvenuto a Quarrata, provincia di Pistoia, sono passati quasi cinque anni e ora il padre del 20enne viene accusato del reato di istigazione al suicidio. Alla luce dei nuovi fatti, nei giorni scorsi la Procura di Pistoia ha presentato la richiesta di rinvio a giudizio in quanto sarebbe stato proprio il padre a convincere il suo primogenito a impiccarsi.
Il 20enne sarebbe arrivato alla decisione dopo un lungo periodo in cui è stato sottoposto a una serie di riti satanici che includevano conversazioni con il padre sulla morte e invocazione di demoni. Dietro alle macabre conversazioni si nascondeva, secondo le indagini, una vera e propria opera di “proselitismo familiare“, nel quale potrebbe essere stato coinvolto anche il secondo figlio dell’uomo, seppur quest’ultima è solo un’ipotesi avanzata dagli inquirenti e non ancora accertata.
Le indagini
Il giovane suicida si è tolto la vita il primo gennaio del 2018. La data scelta per morire ha una sua motivazione per i seguaci di Satana, in quanto rappresenta il Capodanno che celebra il demone Ose. E anche la scelta del luogo in cui il 20enne si sarebbe impiccato non sarebbe casuale. Perché è proprio nella soffitta, che sotto le immagini appese alle pareti il ragazzo si sarebbe tolto la vita.
Secondo una prima ricostruzione fatta dai carabinieri giunti sul luogo della tragedia, solo poche ore prima di uccidersi il 20enne era andato a trovare il padre in carcere, all’epoca detenuto per altri motivi. Gli uomini dell’Arma non escludono che anche in quell’occasione, l’uomo possa avere dato un definitivo incoraggiamento al figlio nel compiere l’insano gesto. Per la Procura, come si legge dalla stessa lettera lasciata dal giovane e trovata vicino al corpo dagli investigatori, il ragazzo “sarebbe stato convinto di essere il figlio di Satana e che il sacrificio della sua esistenza lo avrebbe condotto verso l’immortalità”. Sempre secondo gli investigatori, i riti satanici e le pratiche demoniache sarebbe avvenute quasi quotidianamente in soffitta.
Proprio in quel contesto di estreme convinzioni sataniche è maturata l’idea di diventare immortale attraverso il sacrificio della propria vita e dunque, nell’atto pratico del suicidio. Sin dall’inizio gli accertamenti svolti dai carabinieri si erano concentrati sulla lettera lasciata dal 20enne, ma la scorsa primavera, al termine delle indagini la Procura aveva chiesto l’archiviazione del caso, poiché non c’erano prove sufficienti a dimostrare la responsabilità del padre nel suicidio del figlio. Ma tale richiesta era stata rigettata dal giudice per le indagini preliminari, che aveva imposto al pm di formulare quella del rinvio a giudizio. Secondo il pubblico ministero, invece, gli indizi a carico dell’uomo ci sarebbero. L’uomo, secondo il gip, era ben consapevole di ciò che aveva intenzione di fare il figlio e tuttavia non avrebbe fatto nulla per dissuaderlo.