Sul caso dei migranti a Lampedusa la Corte europea per i diritti umani condanna l’Italia per aver “arbitrariamente privato la loro libertà” attraverso un “trattamento inumano e degradante”
Da Strasburgo arriva una nuova accusa per l’Italia, al centro dell’attenzione della Corte europea per i diritti umani per il “trattamento inumano e degradante” ai migranti giunti a Lampedusa. Non solo, si condanna anche la mancanza di assistenza legale ai profughi e per averli “arbitrariamente privati della loro libertà” in assenza del provvedimento di un giudice che lo disponesse.
Così il nostro Bel Paese è stato condannato a risarcire tre naufraghi tunisini che dall’isola siciliana erano passati tra il 2017 e il 2019. La condanna è una scure che affossa ancor di più il modello hotspot previsto dal governo di Giorgia Meloni per i migranti che assomiglia, in parte, a un carcere per il fatto che da lì non si può uscire.
Strasburgo condanna l’Italia e il modo “inumano” di trattare i migranti a Lampedusa
Già nel marzo scorso una sentenza della Cedu (Corte europea dei diritti umani) aveva affermato che a Lampedusa i diritti umani, universalmente riconosciuti, erano stati negati ai migranti. Quella sentenza viene oggi confermata anche con la decisione dei giudici. Una brutta batosta per il governo Meloni che di hotspot ne ha sfornato di diversi e non solo sull’isola siciliana. Ma tutte le strutture presentano le stesse criticità già evidenziate dalla Corte europea.
Tra queste, per esempio, l’impossibilità di lasciare l’hotspot, in cui il più delle volte non vengono garantite né l’assistenza legale in tempi brevi, né informazioni sui propri diritti come sulla possibilità di chiedere asilo e protezione.
Dal 2018 ad oggi, nella maggior parte dei centri di prima accoglienza la situazione non è affatto cambiata. Oggi come prima, la permanenza dei migranti negli hotspot continua a prolungarsi ben oltre le 48-72 ore stabilite e, inoltre, senza nessuna possibilità di andare via.
Come riferisce oggi la Repubblica, il caso del ragazzo tunisino M.A. che ha portato l’Italia in giudizio e dovrà essere risarcito, ha fatto sapere che il governo, attraverso i suoi legali ha provato a contestare la cosa. Lui, come gli altri, avrebbero potuto lasciare la struttura ma nessuno aveva informato loro.
Strutture inumane e fatiscenti. Il caso del ragazzo tunisino
Nelle carte della Corte di Strasburgo in merito al caso del tunisino M.A. si legge, così come cita anche il quotidiano La Repubblica: “Sarebbe bastato fare ricorso rivolgendosi al prefetto per ottenere un permesso temporaneo per lasciare il centro e nel caso in cui l’istanza fosse stata respinta, avrebbe potuto impugnare la relativa decisione dinanzi a un giudice civile o presentare un ricorso urgente ai sensi dell’articolo 700 del codice di procedura civile”.
Infine, in caso di mancata risposta, avrebbe potuto “presentare ricorso al tribunale amministrativo”. I giudici spiegano nel provvedimento: “Peccato che nessuno lo abbia mai informato dei propri diritti o sia mai stato messo nelle condizioni di parlare con un legale, motivo per cui l’Italia è stata condannata”. Inoltre, per la Cedu: “Tutti (i migranti ndr) sono stati rinchiusi in quelle strutture, come dei detenuti e senza una base giuridica chiara e accessibile e in assenza di un provvedimento motivato che disponesse detenzione”. Per tale motivazione, continuano i giudici, sono stati “privati arbitrariamente della libertà”. La Corte, in ultimo, ha ritenuto sanzionabile il trattenimento a Lampedusa per come la struttura si presentava: “inadeguata, fatiscente e in condizioni inumane e degradanti”.
In conclusione, ricorda la Corte, già alcune sentenze passate avevano denunciato che gli hotspot erano collocati in strutture “fatiscenti” e mancante di spazi e servizi a sufficienza, a partire dai posti letto e dai bagni in comune. In molti, nel 2019, erano costretti a dormire fuori dalle palazzine, in cui c’era sempre o troppo caldo o troppo freddo. Sentenze queste che si aggiungono e si sovrappongono a tutte le altre. L’immagine che arriva ad oggi è sempre la stessa. Dal 2019 in poi, poco o nulla è cambiato.