L’ultimo boss delle stragi di mafia è morto: tanti i misteri sulla vita di Matteo Messina Denaro. Dalla lunga latitanza alle morti di Falcone, l’agenda di Borsellino e la tragica morte del piccolo Giuseppe Di Matteo.
Matteo Messina Denaro è morto all’età di 61 anni a causa di un tumore al colon al quarto stadio. L’ex boss di Castelvetrano era ricoverato nel reparto detenuti dell’ospedale San Salvatore (L’Aquila). Una lunga latitanza di 30 anni che si era conclusa con l’arresto a gennaio 2023 nei pressi di una clinica privata, a Palermo.
Si tratta dell’ultimo autore delle stragi compiute da Cosa nostra, persona latitante fino a pochi mesi fa. Ma i segreti che si porta dietro sono veramente tanti, così come i punti scuri che non troveranno alcune risposte, almeno non mediante le sue dichiarazioni. Aveva detto “io non farò mai il pentito” e lo ha dichiarato durante il primo interrogatorio tenuto dinanzi agli inquirenti.
I segreti di Messina Denaro
Davanti ai magistrati ha sempre confermato l’intenzione di non volersi pentire e raccontare quanto accaduto nel corso del lungo periodo di latitanza, così come durante gli anni precedenti. Senza dimenticare l’annuncio circa i beni patrimoniali posseduti. “Se ho qualcosa non lo dico, sarebbe da stupidi“, ha ribadito dinanzi al giudice.
Irrisolto e senza motivazione sarà la spiegazione sui motivi per cui a marzo 1992 l’allora capo Totò Riina decise di non uccidere Giovanni Falcone a Roma (era nella Capitale per lavorare al ministero di Giustizia ndr). Un omicidio programmato che, però, slittò di alcuni mesi.
Proprio Messina Denaro fece parte del commando invita nella città capitolina, con l’intento di scoprire e uccidere il magistrato, ma dopo vari giorni di appostamenti a vuoto fu lo stesso Riina a richiamare tutti e scegliere di farli tornare in Sicilia. Ciò fu però soltanto una questione rimandata che, invece, si concretizzò con la strage di Capaci.
Un cambio di strategia che portò con sé l’intenzione di effettuare un attentato con modalità terroristiche diverse da quelle inizialmente ipotizzate a Roma. Da un lato la vendetta di natura mafiosa, dall’altra la decisione di compiere un attentato clamoroso e dalle modalità differenti rispetto al solito. Fu il periodo della strategia della tensione che si protrarrò fino al 1993, a seguire invece la sua latitanza.
Da lì in poi stragi di via Gergofili a Firenze, nonché il tanto discusso tentato omicidio di Maurizio Costanzo, a seguire invece le bombe a Roma e Milano. Fatto sta che il famigerato e tanto discusso presunto archivio del “capo dei capi” non è stato ancora trovato, cosa ribadita da vari collaboratori di giustizia. Un passaggio di consegne da Riina a Messina Denaro. Ma continua la caccia ad altri covi segreti del boss morto, ma lo stragista non ha mai voluto conferma.
I misteri
Senza dimenticare la famosa agenda di Borsellino di cui si persero le tracce in seguito all’attentato in cui perse la vita insieme alla scorta a luglio 1992 (strage di via D’Amelio). Un elemento non di poco conto sul quale si dibatterono gli inquirenti, così come alcuni persone tipo Salvatore Baiardo, “protettore” dei fratelli Giuseppe e Filippo Graviano.
E senza dimenticare la corrispondenza fra Bernardo Provenzano e Messina Denaro dal covo che si trovava vicino Corleone e dove l’altro latitante fu arrestato nel 2006. Una collusione fra mafia e politica locale, senza dimenticare gli agganci di varia natura per continuare la sua lunga latitanza.