È morto all’età di 61 anni Matteo Messina Denaro, l’ultimo boss di Cosa Nostra è stato latitante per 30 anni. Finisce un’era di violenza e terrore, restano i segreti.
Si è spento divorato da un tumore al colon il boss di Cosa nostra, Matteo Messina Denaro, che per oltre trent’anni è riuscito a nascondersi alla giustizia. Deceduto oggi, 25 settembre, presso l’ospedale San Salvatore dell’Aquila sotto le telecamere di sicurezza che hanno registrato gli ultimi momenti in vita del super boss.
Accanto a lui in ospedale c’erano la nipote, la figlia e la sorella. Con Messina Denaro si conclude un’era fatta di orrori, vicende criminali e relazioni inconfessabili. L’8 agosto scorso l’intervento chirurgico per una occlusione intestinale era andato bene, ma il tumore al colon, in uno stadio avanzato, non ha lasciato scampo al capomafia di Castelvetrano che è morto all’età di 61 anni.
L’ultimo dei boss di Cosa nostra non si è mai detto pentito di quello che ha fatto ma alla fine si è dovuto arrendere alla malattia, portando con sé nell’oblio alcuni dei misteri più cupi dell’Italia. Da sempre il prediletto di Totò Riina, “U Siccu”, così soprannominato Messina Denaro, è stato per 30 anni il latitante mafioso italiano più importante fino al suo arresto avvenuto lo scorso 16 gennaio 2023, quando è stato scoperto dai Carabinieri mentre era in day hospital alla clinica Maddalena di Palermo.
Appena capito che la sua latitanza stava volgendo al termine, l’ultimo dei Corleonesi ha accennato anche ad una fuga ma è stato braccato da decine di uomini del Ros che, nel frattempo, avevano circondato la clinica.
Portato in caserma Dalla Chiesa, una piccola folla di gente aveva mostrato uno striscione con scritto: “Capaci non dimentica”. Finisce così la fuga del boss. Una vita all’ombra della mafia, Messina Denaro muore portando con sé le vicende più agghiaccianti che hanno macchiato di sangue l’Italia dagli anni 80 in poi.
E’ stato per oltre 30 anni uno dei ricercati più temuti del mondo. La primula rossa di Cosa nostra è stato capo del mandamento di Castelvetrano e per anni si è imposto come uno dei boss della mafia. Classe 1962, Matteo Messina Denaro nasce a Castelvetrano, provincia di Trapani e insieme al padre lavorava come fattore.
Il suo padrino di cresima è l’ex affiliato alla banda di Salvatore Giuliano, Antonino Marotta. Messina Denaro detto “U siccu”, a 20 anni diventa il pupillo di Totò Riina, e da qui inizia la sua scalata criminale fino a quando nel 1989, viene denunciato per associazione mafiosa per la partecipazione alla faida tra i clan Accardo e Ingoglia di Partanna. Nel ’91 uccide Nicola Consales, proprietario di un albergo, solo perché si era lamentato con una sua impiegata, all’epoca amante di Messina Denaro, come riporta il Messaggero, di “quei mafiosetti sempre tra i piedi”.
Nel 1989 è Paolo Borsellino il primo a iscrivere il suo nome in un fascicolo d’indagine. Nel 1992 il boss prende parte al commando composto dai mafiosi siciliani e viene inviato a Roma per mettere a segno l’attentato nei confronti di Maurizio Costanzo e per uccidere Giovanni Falcone e il ministro Claudio Martelli. Nello stesso anno è tra gli esecutori dell’omicidio del capo cosca di Alcamo, Vincenzo Milazzo. Pochi giorni dopo, strangola a mani nude la compagna del boss, Antonella Bonomo, incinta al primo trimestre di gravidanza.
L’anno successivo, 1993, Matteo Messina Denaro è uno dei mandanti del sequestro del 12enne Giuseppe Di Matteo, l’obiettivo era impedire che il padre del bambino, l’ex mafioso pentito Santino Di Matteo, potesse collaborare con gli inquirenti che stavano indagando sulla strage di Capaci. Dopo una prigionia durata ben 779 giorni, il 12enne viene strangolato e il corpo sciolto nell’acido. L’ultima volta che Messina Denaro viene visto libero, è nell’agosto di quell’anno, quando l’Italia era sconvolta dagli attentati dinamitardi. Lui, il boss di Cosa nostra era il mandante di quelle stragi insieme a Leoluca Bagarella, Giovanni Brusca e ai fratelli Filippo e Giuseppe Graviano, è in vacanza a Forte dei Marmi. Da quel momento scompare. Inizia così la sua latitanza.
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