Nell’inchiesta per la strage di Brandizzo la testimone chiave racconta la sua versione dei fatti rivelando di aver comunicato per ben tre volte che i lavori non dovevano iniziare. Il motivo era evidente ma nessuno aveva ascoltato quegli avvertimenti
Come riporta l‘ANSA, la 25enne dipendente delle Ferrovie, ora testimone chiave nell’inchiesta per la tragedia avvenuta a Brandizzo il 31 agosto scorso, aveva sollecitato tre volte dalla sala di controllo di Chiavasso che quei lavori non dovevano iniziare. “L’ho detto per tre volte: i lavori non dovevano cominciare perché era previsto il passaggio di un treno“.
La testimone chiave dell’inchiesta sulla tragedia di Brandizzo, in cui hanno perso la vita 5 operai, è stata sentita in procura a Ivrea, la quale ha riferito che la sera del 30 agosto scorso si era tenuta in contatto con il collega sul posto. E secondo quanto risulta dalle telefonate acquisite dagli investigatori, è sempre lei ad avere avvertito i colleghi di non procedere con i lavoro. Avvertimenti che però sono rimasti inascoltati.
Il racconto della testimone chiave della strage di Brandizzo
La deposizione della teste é considerata molto utile alle indagini poiché consentirà di delineare in modo più approfondito i contorni dell’incidente ferroviario costato la vita a cinque operai. Ma non solo, sono molti gli aspetti che interessano i magistrati. Tra i tanti fare luce, per esempio, se in quel tratto della linea ferroviaria era attivo il Cdb – ovvero il meccanismo di sensori e circuiti elettrici che segnalano la presenza di rotabili sui binari.
Ma anche accertare se, come in questo caso, ci siano altri casi in cui gli operai iniziano i lavori in anticipo per evitare alle loro aziende di pagare multe penali esose. Nel frattempo i pm hanno messo sotto sequestro tutto il materiale riuscito a prelevare dal luogo dell’incidente, compresa l’attrezzatura utilizzata dai 5 operai, nonché una mole di documenti utili ad acquisire maggiori dettagli sulle operazioni di lavoro delle vittime.
Gabriella Viglione, capo ufficio del tribunale di Ivrea ha dichiarato all’ANSA: “Inchieste come questa richiedono tempo e da noi durano anche di più perché siamo pochi”. La carenza di organico in cui versa la procura ha, dunque, un peso sull’intera questione. Basti pensare che le unità di polizia giudiziaria al momento sono 8 anziché 20 e il personale amministrativo è ridotto all’osso.
Gli indagati
Intanto le famiglie delle 5 vittime decedute sono state invitate a fornire elementi utili che possono portare al riconoscimento dei corpi. Solo dopo il riconoscimento dei cinque operai potrà essere concesso il nullaosta per i funerali. Il legale della famiglia di Kevin Laganà, uno degli operai morti, ha spiegato: “Di tempistiche non ce ne sono. L’impatto con il convoglio ha avuto gli effetti che tutti possono immaginare. L’autopsia è inutile e l’estrazione del dna è molto complicata”.
Nel procedimento sono due gli indagati accusati per omicidio e disastro ferroviario in forma di dolo eventuale. Il 46enne Antonio Massa, tecnico di Rfi addetto alla scorta del cantiere di Brandizzo. Il suo legale, l’avvocato Alessandro Raucci ha affermato: “Siamo appena all’inizio e c’è la presunzione di innocenza”.
Il secondo indagato è il 52enne Andrea Girardin Gibin, capocantiere della Sigifer che quella sera si è salvato solo perché ha avuto la prontezza di buttarsi di lato non appena ha visto sopraggiungere il treno. L’avvocato Massimo Mussato, suo legale di fiducia, descrive il suo assistito come “molto addolorato per quanto accaduto”.