Silvia Bianchini è la 16enne morta in un incidente aereo nel 2010. Ora arriva il risarcimento per la morte ai genitori ma qualcosa non quadra. L’indennizzo finisce in un paradiso fiscale. La colpa è della vedova del capitano del velivolo. Cosa è successo?
Nessun risarcimento per la morte di Silvia Bianchini, la 16enne morta il 5 aprile 2010 mentre stava sorvolando l’Adda a bordo di un ultraleggero guidato dal pilota 62enne lodigiano Giacomo Andena.
Dopo l’incidente aereo la procura di Lodi aprì un’inchiesta, chiusa poco dopo. Per il decesso della minorenne venne richiesto, in sede civile, un risarcimento di appena 1 milione di euro. Ma quei soldi, la famiglia Bianchini non li ha mai ricevuti. Come ricostruito dal Corriere della Sera, gli errori giudiziari furono diversi: in primo luogo il mancato sequestro cautelativo per bloccare i conti correnti della compagna del pilota del velivolo, Cristina C.
16enne morta in un incidente aereo. I genitori non hanno mai ricevuto il risarcimento, che fine hanno fatto i soldi?
Il milione di euro di risarcimento per la morte della 16enne Silvia Bianchini non è mai arrivato ai suoi familiari. Nel gennaio 2013, come riporta anche Open, venne stipulato un atto tra la compagna del pilota 62enne, Cristina C. e un rappresentante della società nella sede in Lussemburgo, registrato in uno studio notarile milanese, in cui la società che si occupa di gestioni di immobili, la “First Atlantic real estate sarl”, doveva effettuare un aumento di capitale per un milione e mezzo di euro, dopo il conferimento da parte della donna di beni immobili, azioni, quote sociali e obbligazioni.
A distanza di qualche mese, sempre in quello stesso anno, un rappresentante della società incontrò i funzionari della società con sede a Londra, “Mantel nominees limited” per la cessione dei beni immobili, azioni quote sociali e obbligazioni contenute nel precedente atto dalla compagna del pilota. Ma secondo quanto ora emerge, la società lussemburghese non è sparita ma risulta essere stata immatricolata in altre aziende tre mesi prima della sentenza del Tribunale di Lodi di fissare il risarcimento.
In pratica, l’investimento di denaro è stato effettuato nel Paese noto per essere un “paradiso fiscale” (Lussemburgo), e per cui ora risulta difficile avviare inchieste finanziarie e accertamenti fiscali. In sostanza, i soldi della società sono migrati all’estero così come il risarcimento per la morte della 16enne. Dunque ora il Corriere ricostruisce il caso sulla scia di nuovi documenti. Intanto i genitori di Silvia, già affranti per la gravissima e incommensurabile perdita della loro figlia, devono affrontare anche la “beffa” del risarcimento sospeso nel paradiso fiscale del Lussemburgo.