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Attualità

Massimo Giletti indagato per diffamazione: perché il boss Giuseppe Graviano ha querelato il giornalista

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Alessandro Artuso

Massimo Giletti è indagato per diffamazione dopo la querela del boss mafioso Giuseppe Graviano: l’uomo sta scontando vari ergastoli nel carcere di Terni. 

Il giornalista Massimo Giletti è indagato dalla Procura di Terni con l’accusa di diffamazione. La querela è partita da Giuseppe Graviano, uomo legato a Cosa nostra che deve scontare diversi ergastoli in carcere.

Massimo Giletti querelato da Giuseppe Graviano (ANSA)

L’ex conduttore di Non è l’Arena, programma in onda su La7 cancellato dopo l’addio di Giletti, è al centro della cronaca fra vita privata e quella lavorativa, in particolare dopo aver lasciato l’azienda di Umberto Cairo.

Cosa è accaduto

Non ci sarebbe soltanto Giletti fra gli indagati: presente anche la collega Sandra Amurri. Il giornalista ha ricevuto qualche giorno fa una notifica dell’atto che lo vede indagato per diffamazione dalla Procura di Terni. Si tratta di un reato che spesso molti cronisti si trovano a dover fare i conti, visto il loro mestiere, ma ora a stupire sarebbe proprio il mittente della querela.

Ad anticipare la notizia è stata EtruriaNews che, di fatto, ha parlato di un fascicolo secretato in seguito. Non si esclude, in ogni caso, l’accertamento di natura investigativa e una possibile futura archiviazione dell’indagine.

Giletti commenta la querela ricevuta da Giuseppe Graviano, esponente di Cosa nostra condannato a sei ergastoli (ANSA)

Durante la trasmissione Non è l’Arena, infatti, Giletti ha più volte intervistato Salvatore Baiardo, considerato uomo dei Graviano, colui il quale annunciò anzitempo l’arresto di Matteo Messina Denaro. All’origine di tutto sembrerebbero esserci delle dichiarazioni, fatte durante alcune trasmissioni, ma al momento nulla di ufficiale.

Sta di fatto che Graviano è detenuto a Terni e non si comprende la vera motivazioni che lo avrebbe spunto a querelare Giletti. Il boss di Cosa nostra è stato condannato a sei ergastoli per le stragi di Capaci, via d’Amelio, Firenze, Roma e Milano: sarebbe stato indicato anche come mandate del delitto di don Pino Puglisi.

La risposta di Massimo Giletti

Massimo Giletti ha intanto deciso di commentare ai microfoni dell’agenzia Agi dopo quanto ricevuto e riportato dagli organi d’informazione. Il cronista ha ribadito di avere fiducia nella giustizia, rimanendo però al contempo deluso da ciò che accade in Italia.

Giletti e la trasmissione Non è l’Arena in onda su La7 che non andrà più in onda, ora per il giornalista arriva una querela (ANSA)

Certo alle volte penso che viviamo in un Paese all’incontrario, ma ormai non mi stupisco più di nulla“, ribadisce il giornalista. Possibile in ogni caso che il procedimento possa essere archiviato. Poco prima della sospensione di Non è l’Arena, in ogni caso, i pm di Firenze hanno ascoltato la testimonianza di Giletti che aveva raccontato di una foto in cui erano presumibilmente presenti Silvio Berlusconi, Francesco Delfino (generale dei carabinieri) e Giuseppe Graviano.

Lo stesso Giletti non sarebbe riuscito a riconoscerlo perché Baiardo non avrebbe mai consegnato l’istantanea al cronista. Lo stesso Baiardo, inoltre, avrebbe negato l’esistenza di tale presunta foto ai pm e anche in maniera pubblica dinanzi alle telecamere. Ci sarebbero in ogni caso le intercettazioni che, secondo Il Fatto Quotidiano , avrebbero di fatto smentito la versione dell’uomo.

Chi è Giuseppe Graviano

Giuseppe Graviano fu arrestato il 27 gennaio 1994 a Milano dai carabinieri di Palermo. Tre anni dopo la Corte d’Assise di Caltanissetta lo condannò all’ergastolo per la strage di Capaci: in quella circostanza ricevettero la condanna anche Salvatore Riina, Bernardo Provenzano, Bernado Brusca e Leoluca Bagarella.

Nel 1999 fu condannato all’ergastolo per la strage di via d’Amelio in cui morirono il giudice Paolo Borsellino e gli agenti della scorta. Secondo il racconto di molti pentiti, sarebbe stato proprio lui ad azionare il telecomando dell’autobomba. Sempre in quell’anno ricevette la condanna, insieme al fratello Filippo, per essere il mandante del delitto del prete don Pino Puglisi. Nel 2000, invece, ergastolo per gli attentati di Firenze, Milano e Roma.

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