Matteo Messina Denaro sembra determinato a porre fine alla sua vita: l’indiscrezione arriva da un pizzino trovato a casa della sorella.
Matteo Messina Denaro è destinato a rimanere in carcere. Questo è quello che riserva il suo futuro dopo una latitanza di anni, ma l’ultimo boss di Cosa Nostra è intenzionato a spiazzare anche quest’ultimo epilogo. Una vita passata a mescolare le carte, ora proprio dalle carte è spiazzato.
I moduli sanitari parlano chiaro: tumore al colon in stato terminale. Questo si evince anche dalle cure che l’uomo sta portando avanti, giorni per cliniche, settimane alla ricerca di una certezza. Poi la volontà di andare oltre. I messaggi alla sua amica. I pizzini a casa della sorella: “Il tumore mi ha tradito”.
Matteo Messina Denaro, il suicidio non è solo un’ipotesi
Una sconfitta più amara di quella della Giustizia. Messina Denaro costretto ad arrendersi a qualcosa di più grande: la natura. Non lo può accettare. Troppo grave per uno abituato a “vincere” su tutto. Per questo ha deciso di sparigliare le carte. Il piano sembra essere chiaro. Gattabuia e attesa: “Appena mi rendo conto di non farcela più, mi ucciderò”.
Questo scriveva alla sorella non molto tempo fa. I suoi complici – compresi i Bonafede – servivano a tessere un reticolato di conoscenze che gli sarebbero servite al momento opportuno. Ora gli inquirenti temono che possa fare un insano gesto da dietro le sbarre, anche se sorvegliato a vista.
Le prove della volontà del boss
Rischi calcolati li chiamano. I calcoli, però, non sono mai abbastanza quando certe personalità rischiano di riprendere la scena. Le relazioni stanno uscendo fuori ed emerge anche un risentimento dell’uomo nei confronti della situazione che, negli ultimi tempi, era costretto a vivere.
Ora non resta che fare i conti con l’evoluzione di questa insofferenza. Se farà il suo corso, più del dovuto, l’ex latitante potrebbe togliersi la vita. Sta agli addetti ai lavori, dentro e fuori dal carcere, evitarlo. Con Messina Denaro, però, ancora (quasi) tutto è possibile. Segno di una tranquillità che manca anche – e soprattutto – dopo l’arresto.