Nell’ambito del processo celebrato a Trapani contro alcuni scafisti libanesi, vengono a galla messaggi che proverebbero i sospetti di accordi tra Ong e scafisti. A confermare ciò anche una frase di uno dei coinvolti: “Chiudiamo quella chat, è una prova”.
Torna al centro delle polemiche il tema degli sbarchi di migranti e, soprattutto, quelle che fino a ieri venivano considerate solo ipotesi di accordo tra personale delle Ong e scafisti.
Nel processo in corso a Trapani una tegola pesantissima è caduta sul punto, aprendo una breccia su alcuni comportamenti che sarebbero stati praticati e mai ammessi. Chiamata a rispondere di ciò l’equipaggio di una importante organizzazione umanitaria. Ad essere analizzati sono stati numerosi atti del procedimento, a cominciare dalle intercettazioni dove emergerebbero tentativi di depistare le indagini.
Nell’occhio del ciclone è finita la Ong tedesca Jugend Rettet. Questa avrebbe cercato di contattare gli scafisti per organizzare finti salvataggi in mare con la nave Juventa. Ci sarebbe coinvolto anche un dirigente di Save the Children, il quale avrebbe scritto un messaggio molto compromettente: “Chiudiamo quella chat, è una prova”. Attraverso gli accertamenti operati sulle comunicazioni di posta elettronica, emergerebbe altresì che dalla Jugend Rettet chiamavano gli scafisti “pescatori di motori”.
L’espressione puntava a sottolineare la rapidità dei trafficanti di esseri umani di sganciare i propulsori per inscenare finti salvataggi in mare. L’inchiesta giornalistica de La Verità ha portato a conoscenza che nelle carte del processo sono contenute altre intercettazioni volte a evincere costanti contatti tra Ong e scafisti.
Nel corso delle indagini gli inquirenti hanno scoperto un vero e proprio sistema organizzato nel settore dei migranti. Si acquisisce inoltre che “Sia il comandante, sia il primo ufficiale di coperta, sia il team leader della Ong erano a conoscenza della presenza di trafficanti durante il salvataggio e – ancora – si attivavano durante le fasi del trasbordo dei migranti a smontare il motore”.
Non una situazione sporadica, dalle carte si punterebbe il dito contro quello che era divenuto ormai un modus operandi, di cui si era sempre negata l’esistenza. Punti e orari stabiliti a tavolino inchioderebbero il personale della Ong alle relazioni avute con i trafficanti.
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