Un agente di polizia del commissariato di Primavalle, a Roma, è agli arresti domiciliari per l’accusa di tortura in relazione alla vicenda di Hasib Omerovic, il 36enne precipitato il 25 luglio scorso dalla sua abitazione nel corso di una perquisizione.
Nei confronti dell’agente viene contestato anche il reato di falso ideologico commesso da pubblico ufficiale in atti pubblici. L’uomo vittima dell’episodio si trova ancora oggi ricoverato in ospedale per le conseguenze della caduta. Nell’ordinanza il gip parla di atti “di entità grave, commessi in spregio della funzione pubblica svolta, nonché violando fondamentali regole di rispetto della dignità umana“.
Lo ha legato ad una sedia utilizzando un filo elettrico strappato dal muro. Lo ha preso a schiaffi e con un coltello lo ha minacciato terrorizzandolo al punto tale che saltare dalla finestra è sembrato ad Hasib Omerovic, l’unica scelta per trovare la via di fuga. È quanto messo in atto dall’agente di polizia Andrea Pellegrini, finito ai domiciliari per la pesantissima accusa di tortura per quanto compiuto il 25 luglio scorso in un appartamento del quartiere Primavalle di Roma.
Per lui l’accusa anche di avere scritto il falso, in concorso con altri, nella nota di servizio sull’attività svolta. Nei confronti di quattro agenti, finiti nel registro degli indagati e nelle scorse ore perquisiti, anche l’accusa di depistaggio.
Una indagine svolta dagli uomini della Squadra Mobile della Polizia di Stato con tempestività. La perquisizione del luglio scorso era stata attuata dopo che su alcuni profili Facebook erano comparsi alcuni post in cui si accusava Omerivic di avere molestato alcune ragazze del quartiere. Una ispezione, compiuta da almeno quattro agenti, che si è però trasformata in tutt’altro con una aggressione sia fisica che psicologica che ha portato il 30enne, affetto da sordomutismo, a lanciarsi dalla finestra.
Per quel drammatico volo Hasib è tutt’ora ricoverato. L’indagine della Procura di Roma, coordinata dall’aggiunto Michele Prestipino, ha ricostruito quanto avvenuto quel pomeriggio di luglio in uno dei quartieri popolari dell’area ovest della Capitale. L’agente, a cui è contestato anche il reato di falso in concorso con altri due colleghi per quanto scritto nella nota di servizio dopo i fatti, è entrato “all’interno dell’abitazione, immediatamente e senza alcun apparente motivo” ha colpito Omerovic “con due schiaffi nella zona compresa tra il collo e il viso, contestualmente rivolgendo al suo indirizzo, con fare decisamente alterato, la seguente frase: ‘non ti azzardare mai più a fare quelle cose, a scattare foto a quella ragazzina’” e dopo avere impugnato “un coltello da cucina e lo brandiva all’indirizzo” dell’uomo.
Pellegrini ha poi sfondato la porta della stanza da letto di Omerovic, sebbene quest’ultimo “si fosse prontamente attivato per consegnare le chiavi“. Una volta dentro la stanza ha costretto il 38enne a sedere su una sedia e dopo avere strappato un filo della corrente del ventilatore “lo utilizzava per legare i polsi di Omerovic brandendo” ancora una volta “all’indirizzo dell’uomo il coltello da cucina, minacciandolo, urlando al suo indirizzo la seguente frase ‘se lo rifai, te lo ficco nel c…’” e “lo colpiva nuovamente con uno schiaffo e continuava ad urlare nei suoi confronti, dicendogli ripetutamente ‘non lo fare più’“.
Per il gip “gli accadimenti sono indubbiamente di entità grave, commessi in spregio della funzione pubblica svolta, nonché violando fondamentali regole di rispetto della dignità umana. I ripetuti atti di violenza e minaccia appaiono del tutto gratuiti. Pellegrini – aggiunge il gip – non ha avuto alcuna remora di fronte ad un ragazzo sordomuto e una ragazza con disabilità cognitiva (la sorella di Omerovic ndr) compiendo ripetuti atti violenti, sia sulle persone che sulle cose e gravemente minatori, così da denotare pervicacia e incapacità di autocontrollo“.
Il giudice lo definisce come un intervento “punitivo” perché “l’attività di identificazione è divenuta semplicemente un pretesto e che integrano, almeno nella valutazione di questa sede, il delitto di tortura“. Violenze e minacce “compiute in danno di una persona inerme attraverso un’irruenza minatoria ben visibile ad Hasib, evidentemente anche mimica, in occasione di un’identificazione che, sotto il profilo delle modalità esecutive, appare anomala e ha assunto essa stessa, nella dinamica, caratteri “autoritari” e, al contempo, mortificanti per la persona, come desumibile dalla esposizione dei documenti in bella mostra e in perfetto ordine sul tavolo del salone dell’abitazione dell’individuo da identificare“.
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