Diversi i Caf che truffavano lo Stato con permessi di soggiorno falsi. Una pratica costava mille euro. Bastava pagare per avere tutti i documenti necessari rigorosamente falsificati. Tre persone in carcere, quattro ai domiciliari
Con mille euro si potevano avere tutti i documenti necessari per richiedere non solo permessi di soggiorno (falsi) ma anche gli aiuti economici dello Stato. Bastava rivolgersi a uno dei Caf “amici” con i soldi in mano e la truffa ai danni dello Stato era fatta. Questo è quanto è emerso dall’indagine svolta dalla guardia di finanza di Torino.
Tre persone sono finite in carcere e quattro agli arresti domiciliari. Le accuse per i sette indagati sono: associazione per delinquere finalizzata al favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, truffa aggravata ai danni dello Stato, sino al reato di falsità ideologica e sostituzione di persona. Sequestrati preventivamente anche 150mila euro.
L’indagine delle fiamme gialle nominata “Terra promessa” è scattata a inizio 2020. Secondo gli inquirenti protagonisti della truffa sono tre cittadini egiziani e un romeno. Il lavoro sporco, però, veniva fatto anche da due italiani e un bengalese. Tutti gli accusati avrebbero agito con l’aiuto di una struttura amministrativa presente sul territorio piemontese.
I sette indagati sono accusati di avere messo a punto un sistema di truffa ai danni dello Stato sorto oltre dieci anni fa. Il raggiro avveniva in modo semplice: chi aveva bisogno di un permesso di soggiorno falso o un aiuto per richiedere bonus economici con documenti fasulli, doveva solo andare in uno dei Caf “amici”. Pagando una pratica 1.000 euro si poteva avere ciò che si voleva.
Gli accusati avrebbero creato anche falsi contratti di lavoro, false dichiarazioni di disponibilità ad assumere e anche finti contratti di affitto. Agivano sotto la “protezione” di “una struttura amministrativa presente e riconoscibile sul territorio, avvalendosi di diversi soggetti giuridici (imprese e società) fittizi e inattivi”. I beneficiari di tutto questo erano cittadini extracomunitari. Le loro identità servivano per attivare a loro nome credenziali di accesso a conti correnti e carte di pagamento su cui poi far entrare le somme di denaro illecitamente ottenute.
Inoltre, i sette indagati avrebbero gestito in modo parallelo anche una serie di società fantasma attive soprattutto sul territorio piemontese. Dalle indagini sono state scoperte oltre 600 certificazioni uniche contraffatte, per un ammontare di ben 6,5 milioni di euro, utilizzate soprattutto per favorire l’ingresso nel territorio italiano di cittadini stranieri ottenendo rimborsi fiscali indebiti. Tra il 2015 e il 2020 gli indagati avrebbero anche esportato all’estero oltre mezzo milione di euro illegalmente.
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