Sono attive anche in Italia le stazioni di polizia cinesi che hanno diversi scopi ben precisi: tutti i dettagli sui dissidenti e non solo. Qual è l’obiettivo del governo di Pechino. Adesso indaga anche l’intelligence italiana.
L’Italia ospita attualmente undici stazioni di polizia non ufficiali del governo cinese. A riportare i dati è un rapporto dell’Organizzazione non governativa Safeguard Defenders che ha parlato di una strategia ben precisa per controllare i dissidenti (ma non solo ndr).
L’Ong spagnola si occupa di diritti umani in Asia e ha scoperto queste stazioni che non avrebbero alcuna autorizzazione ufficiale, almeno nella maggior parte dei casi. Si tratta all’apparenza di uffici burocratici che tutelano i turisti provenienti dalla Cina, in realtà la situazione sarebbe ben diversa.
Il loro obiettivo è quello di trovare cittadini dissidenti all’estero. L’idea sarebbe quella di riportare in Cina coloro i quali sono fuggiti dal Paese, in alcuni casi anche con metodi alquanto forti. Ad indicarlo è il rapporto “Pattugliare e persuadere” che ha mostrato negli scorsi mesi qualcosa come 54 stazioni di polizia cinese fra Africa, Europa e Nord America. Il numero sarebbe adesso più alto (oltre 100), l’Italia ne avrebbe 11.
Safeguard Defenders è attivato dal 2016 in Spagna ed è nata dopo la chiusura in Cina dell’ONU China Action. Proprio quest’ultima, infatti, si occupava di promuovere e tutelare i diritti umani. Fra i fondatori spiccano Michael Caster e Peter Dahlin. Al suo interno spiccano diverse figure fra attività cinesi e di Taiwan, nonché avvocati che tutelano i diritti umani anche in Vietnam.
Le 11 stazioni sono sparse fra Roma, Milano, Prato e non solo. Ci sarebbero anche a Bolzano, Firenze, Venezia e in una città della Sicilia non specificata. I dati ISTAT del 2021 parlano di 330mila cittadini cinesi residenti in Italia. Da tempo sono in corso una serie di valutazioni sul controllo imposto dal governo di Pechino.
Fra le persone al centro dell’attenzione ci sarebbero criminali accusati di tipi di reati, dissidenti, tutti ricercati dopo l’operazione “Fox Hunt“ del 2014, indetta dal presidente Xi Jinping. L’obiettivo è proprio quello di perseguire quei funzionari fuggiti all’estero e accusati di corruzione in Cina.
A denunciare la vicenda è anche Laura Hart, direttrice della campagna della ONG, che ha parlato di azioni illegale, utilizzando metodi come “molestare, minacciare, intimidire e spingere al rientro in Cina particolari obiettivi. Inizialmente telefonate, poi minacce ai parenti rimasti in Cina, infine l’impiego di agenti sotto copertura all’estero, che possono arrivare anche a pratiche di adescamento e rapimento“, ha ribadito Hart.
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