In Iran non si fermano le condanne a morte da parte del governo contro le donne che stanno protestando in tutto il Paese. Stessa sorte per Fahimeh Kari, allenatrice di volley.
Un’altra donna, madre di tre figli, è stata arrestata e processata semplicemente per essersi unita alle proteste contro il regime. Per Teheran avrebbe aggredito dei militari. Intanto continua al condanna internazionale, anche dell’Italia, nei confronti del governo iraniano.
Mentre continuano le proteste in Iran, il ministro degli Esteri italiano, Antonio Tajani, ha svelato di aver rinunciato, per protesta, a un bilaterale con la controparte iraniana: il ministro degli Esteri iraniano Hossein Amir Abdollahian “era stato invitato dal mio predecessore, lui aveva proposto il bilaterale. Abbiamo avuto una richiesta da parte del ministro degli Esteri di un bilaterale a Roma, e non abbiamo dato risposta. Non c’era da parte nostra l’intenzione di fare il bilaterale“, ha detto Tajani a margine dei Med Dialogues.
“Condanno con fermezza le repressioni alla libertà di stampa, di espressione e di manifestazione in atto in Iran. Sia ripristinato quanto prima il pieno accesso all’informazione online e offline nel Paese. Aderiamo convintamente a dichiarazione della Media Freedom Coalition“, ha poi aggiunto su Twitter il ministro.
Iran, la nuova donna condannata a morte è una madre di tre figli, Fahimeh Kari: allenatrice di pallavolo
Intanto in Iran continuano gli arresti contro i manifestanti e le donne che partecipano alle proteste. Nelle scorse ore un’altra donna è stata condannata a morte dal regime.
La magistratura iraniana ha condannato Fahimeh Karimi, allenatrice di pallavolo e madre di tre figli, per partecipazione alle proteste contro il regime che attraversano il Paese da oltre due mesi. Arrestata durante una manifestazione a Pakdasht, nella provincia di Teheran, è accusata di essere una delle leader e di aver sferrato calci a un paramilitare Basiji, secondo quanto scrivono i media e i social.
Karimi è stata di recente trasferita dal carcere di Evin a Teheran a quello di Khorin, a Pakdash, e in molti hanno espresso preoccupazione per la sua sorte. Una campagna di morte contro contro chi osa criticare il regime degli ayatollah, che va anche oltre i confini iraniani per mettere a tacere per sempre dissidenti, attivisti, giornalisti, come il filosofo francese Bernard-Henri Lévy. Ma anche funzionari governativi occidentali come l’ex consigliere alla Sicurezza nazionale Usa John Bolton.
A denunciarlo è il Washington Post, secondo cui il governo iraniano ha intensificato i suoi sforzi per rapire e uccidere i nemici di Teheran, anche negli Stati Uniti. La volontà di uccidere cittadini americani sarebbe spinta, secondo gli esperti, anche dalla sete di vendetta per l’uccisione di Qasem Soleimani nel 2020