Riccardo Faggi, morto nella notte tra il 28 e il 29 novembre dopo uno schianto in auto, aveva raccontato che l’indomani si sarebbe dovuto laureare. Gli investigatori scoprono invece che il ragazzo era lontano dall’obiettivo della laurea. Dopo l’intervista della madre del ragazzo che ha lanciato un appello a tutti i genitori affinché si sforzino di capire fino in fondo i propri figli. Free.it ha chiesto al noto psichiatra Paolo Crepet di parlare di competizione e ansia da prestazione nei giovani di oggi.
Quando chiamiamo al telefono il noto psichiatra, sociologo e saggista Paolo Crepet, si dice subito contento di rilasciarci un’intervista sullo stress da competizione e l’ansia da prestazione che oggi affligge le generazioni di giovani, dall’adolescenza in poi.
Ma il professor Crepet non vorrà mai entrare nel privato di un dramma ancora troppo fresco e del quale ancora troppo poco si conosce: la morte del 26enne Riccardo Faggin.
Riccardo Faggin muore nello schianto della sua auto contro un albero nella notte tra il 28 e il 29 novembre. Era pronta anche la sua festa di laurea. A Riccardo invece mancavano diversi esami per completare il percorso universitario in Scienze Infermieristiche, ma aveva taciuto la realtà anche ai propri genitori. Genitori che oggi non si danno pace, perchè si sentono in parte colpevoli di non aver saputo interpretare determinati segnali. Quella madre e quel padre temono che la bugia raccontata dal figlio, possa avere a che fare con l’incidente d’auto. Anche se certezze in tal senso non ce ne sono.
Quel che è certo però è che la madre di Riccardo, attraverso il quotidiano La Repubblica, abbia voluto lanciare un doppio appello: ai giovani perchè trovino il coraggio di parlare coi i proprio genitori e a questi si sforzarsi di capire i loro figli. Al di là della storia del giovane di Abano Terme, di cui devono essere chiarite le cause che senza un motivo apparente abbiano portato al tragico schianto, il nostro Paese racconta delle mille difficoltà con cui ogni giorno giovani, studenti e non debbano confrontarsi.
Morte Riccardo Faggin, dopo l’intervista della madre del ragazzo, il commento del prof Crepet a Free.it
Basta scorrere le cronache recenti, e di notizie di ragazzi o ragazze che abbiano deciso di togliersi la vita, perchè avevano raccontato ai propri familiari che la laurea era vicina quando invece il percorso di studi andava a rilento o in alcuni casi non era nemmeno iniziato, per rendersi conto quanto le pressioni indotte dalla società possano essere delittuose. “Le responsabilità non stanno da una sola parte”, ha detto in ESCLUSIVA a Free.it il professor Paolo Crepet.
Professor credo abbia colpito anche lei l’intervista apparsa su Repubblica della madre di Riccardo Faggin. Parole tese a lanciare un doppio appello: ai giovani e a tutti i genitori. Partiamo da quelle parole, per analizzare un fenomeno molto piu complesso e grande del singolo evento estremamente drammatico.
“Anche perchè io non voglio entrare nel privato di quella famiglia…Ma se parliamo più in generale di ansia da prestazione, di cultura competitiva, dobbiamo sottolineare subito come la società valuti dai risultati e non valuti invece le persone. La capacità di leggere i ragazzi nel pensiero, di entrare nel loro stato d’animo è compito non solo dei genitori, ma anche della scuola, degli oratori, delle società sportive. La competizione per noi, ma per i giovani soprattutto è spaventosa, schiacciante. Spostiamoci per un attimo dall’ambito scolastico, universitario e ricordiamoci di quello che solo qualche settimane fa abbiamo saputo delle nostre ginnaste, la brutta vicenda delle Farfalle...”
Certo, anche lì alla base di tutto c’è una competizione esasperata…
“In generale non c’è ascolto. Come nel caso eclatante delle Farfalle, troppo spesso si cerca solo la perfezione di un gesto. Tutto questo è stato la filigrana degli ultimi decenni, ma togliamoci dalla testa che l’atto di violenza contro se stessi non è legato mai ad un singolo atto. La festa di laurea disattesa ad esempio, è soltanto l’epilogo di un lungo travaglio in cui non ci si è sentiti capiti o non si vuole essere capiti”.
Lo psichiatra Paolo Crepet a Free.it “Le responsabilità sono trasversali e condivise”
Perchè spesso i giovani come dice lei non vogliono essere capiti?
“Perchè un ragazzo può non essere così specchiato, la colpa è anche di chi suscita le domande. Le responsabilità non sono solo da una parte. I ragazzi si chiudono in maniera deliberata e bisogna avere la caparbietà di scardinare questa chiusura. Occorre trovare modi creativi, serve non arrendersi davanti al silenzio. Dobbiamo fare in modo che si parli. E vorrei aggiungere anche un altro dato: non guardiamo solo all’atto estremo del suicidio, che per fortuna le statistiche ci dicono non sia in numero così elevato, ma pensiamo non a prevenire i suicidi, ma al mal di vivere!”
Colpisce, professore, come prima lei abbia usato il caso delle Farfalle per parlare più in generale di un sistema del quale la nostra società è vittima. Anche in quel caso specifico molte ragazze hanno taciuto a lungo e hanno raccontato soltanto dopo che il vaso di Pandora si è aperto…
“Perchè nel caso delle ginnaste, mutuabile anche in altri ambiti, c’era un tacito accordo tra famiglie, istruttori… Le ragazzine erano e sono ovviamente e palesemente delle vittime. E’ un sistema che vogliamo tutti e chi non si adatta alla competizione patisce un’esclusione”.
Paolo Crepet a Free.it “Un ragazzo non lo conosciamo soltanto dai suoi voti”
Torniamo invece prima di chiedere l’intervista con lei professore, alle parole di quella madre e alla sua intervista su la Repubblica.
“A quei genitori sento di dare tutta la mia solidarietà. Riportando invece il mio intervento su un discorso più allargato dobbiamo immaginare che dietro a certe sensibilità interrotte esiste anche il danno alla comunità, che perde talenti impensabili. Come si fa infatti a giudicare un ragazzo o una ragazza soltanto dai suoi voti? Questo purtroppo è un errore che commette il 98% dei genitori. Un ragazzo non lo conosciamo soltanto dai suoi voti. E chi dovrebbe accorgersene se gli oratori sono vuoti, le scuole chiudono dopo le lezioni in classe e molti dirigenti sportivi guardano solo alle prestazioni e non all’indole del ragazzo…Sì, ripeto le responsabilità sono trasversali e condivise”.