Botte e torture nei confronti dei detenuti. Queste le accusa che sono state rivolte a 45 indagati. Tra loro agenti penitenziari, medici, funzionari e specialisti, ma anche alcuni direttori pro-tempore.
Un caso che potrebbe scuotere l’Italia e la fiducia nelle istituzioni preposte alla riabilitazione dei detenuti. A Ivrea la Procura ha formulato pesanti accuse di maltrattamenti a danno di coloro che scontano la pena.
Membri della polizia penitenziaria, medici e pedagoghi e direttori della struttura potrebbero farne le spese. Nel mirino degli inquirenti la ricostruzione dei fatti e l’attribuzione delle responsabilità di ognuno in base alle dinamiche contestate.
Le terribili accuse
I capi di imputazione nei confronti dei 45 indagati riguarderebbero casi in cui i detenuti sarebbero stati rinchiusi in apposite celle e picchiati. Ma altresì episodi che avrebbero impedito loro di conferire con i propri avvocati. Tra le contestazioni sollevate dall’autorità giudiziaria anche quella di falso in atto pubblico. Sempre secondo i magistrati i reati sarebbero continuati anche dopo l’apertura delle indagini disposte dalla Procura Generale. Il primo filone di indagini risale al 2015.
Allora erano finite al centro dell’ inchiesta ben 25 persone. Le accuse riguardano i pestaggi nei confronti dei carcerati del penitenziario di Ivrea. Per tali circostanze sono state effettuare 36 perquisizioni domiciliari, anche presso la casa circondariale. L’operazione è stata eseguita dal Nucleo Investigativo centrale della Polizia Penitenziaria. Coinvolti anche i militari del Comando provinciale dei Carabinieri di Torino.
Torture e violenze fisiche e psichiche
La nuova inchiesta si innesta su quella avviata nel 2015. Quarantacinque persone sono finite iscritte nel registro degli indagati. Tutte aventi a che fare con il penitenziario di Ivrea. Si tratta di direttori pro-tempore, personale della Polizia Penitenziaria, medici e funzionari giuridico pedagogici (educatori).
Contro di loro accuse di violenze fisiche e psichiche, falso in atto pubblico e reati connessi. A coordinare le indagini è il pubblico ministero Valentia Bossi. Dalle prime risultanze sarebbero stati riscontrati elementi probatori in linea con le denunce prodotte negli scorsi anni dalla Procura. Inoltre sarebbe stato individuato il cosiddetto “acquario” o la “cella liscia”. Ovvero la stanza dove avrebbero avuto luogo le torture e l’isolamento dei detenuti.