Roberto Maroni muore a 67 anni dopo una lunga malattia che lo ha stremato nel passato recente, ma l’uomo era ed è molto altro.
Roberto Maroni per tutti, Bobo per pochi altri. Quelli che lo conoscevano prima come personalità eclettica e poi come leader politico. Colui che riconosceva in Varese la propria “isola felice”, non a caso il suo operato – prima della malattia – si conclude lì dopo una vita a Roma e ancora prima tra Milano e la pianura padana a cui basta aggiungere una i per tratteggiare il suo percorso politico.
In gioventù marxista-leninista poi la svolta con Bossi: Maroni ha rappresentato una Lega più istituzionale e meno di pancia. In grado di sintetizzare temi controversi come quello dell’accoglienza e del ruolo delle Forze dell’Ordine. Non solo politica, Maroni era – ed è – anche molto altro. Le passeggiate e l’allenamento moderato con moglie e figli Chelo, Fabrizio e Filippo. Giovani che ha accompagnato fino all’ultimo con quella sua nettezza e diplomazia che non lasciavano scampo a un pizzico di severità.
Poi il calcio, sport da cui ha imparato il gioco di squadra: “Non mi piace giocare da solo”, diceva. Proprio per questo è stato il riferimento – anche con un ruolo agli Interni – della Lega Nord nei governi Berlusconi. Quello che ha trascinato, fra le altre cose, il Carroccio fuori dagli scandali (tra cui anche la Laurea finta di Bossi Junior). Self-control, quasi sempre.
Quando la visuale veniva meno per acuire la prospettiva si dedicava ad altro: chitarra, partite a carte. Qualche bicchiere di vino con gli amici. Il pallone prevalentemente in tv, le tirate d’orecchi a Berlusconi sul Milan: gli occhiali rossoneri, ad accompagnarlo sempre, nei primi anni del Duemila. Il Diavolo non si spegne mai. Neppure adesso in cui bisognerebbe parlar di altro.
Mosso d’amore, Maroni, anche quando non c’era la politica di mezzo. Le strimpellate alla chitarra: Sam Cooke, Springsteen, Santana, Clapton per citare alcuni fra i suoi autori e compositori preferiti. Tanto intrattenimento, in ogni sua forma, amava la comicità e le parodie: uno dei pochi a non prendersela per le imitazioni di Crozza. Maroni a vedersi riproposto, un po’, gigioneggiava.
Sapeva che, quando si arriva a un certo punto della carriera e della vita, essere imitati significa avere anche una certa popolarità. Piccola ricompensa dopo una vita d’impegni e promesse non sempre mantenute, ma la politica è fatta – soprattutto – di compromessi. Fuori conta la parola: lui ne aveva sempre una per gli amici, quelli che hanno saputo per primi quando è stato il momento di riposare. Un ultimo assolo in compagnia, il resto è ricordo. Volontà e nostalgia.
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