Era conosciuto da tutti con il nome “Bondi Beast” e per 40 anni aveva terrorizzato un’intera nazione, aggredendo sessualmente decine di donne. Ora è stato identificato. Ecco chi è.
“Bondi Beast”, quello che per amici e familiari era un padre e nonno amorevole nascondeva una vita fatta di orrori che ora è stata finalmente portata alla luce. L’incredibile vicenda risolta dopo quattro decenni.
Aveva avuto molti soprannomi nel corso del tempo. Negli anni ’80 era conosciuto come lo “stupratore del Centennial Park”, negli anni ’90, lo “stupratore di Bondi”. “Stupratore in tuta” è stato il soprannome coniato in seguito ad altri stupri nel 2000. Poi 16 anni dopo è diventato noto come “Bondi Beast”. Solo lui sapeva dei nomi che gli venivano dati, così come conosceva bene gli atroci crimini che aveva commesso. Per tutti gli altri compresi amici e parenti, era “Magoo”, un marito, un padre e un nonno devoto.
Era sposato da 43 anni fino a quando non è morto a 66 anni circondato dall’affetto della sua famiglia. Al suo funerale era stato descritto come un “eroe” di buon cuore e una figura paterna che amava giocare a calcio, fare festa e sostenere i South Sydney Rabbitohs.
In realtà Keith Simms, questo il nome dell’uomo, era ben altro. Un mostro che ha tenuto per 40 anni un’intera nazione nel terrore aggredendo donne in casa o mentre facevano jogging. Non ce n’era una, in tutta l’Australia, che non temesse di essere violentata da lui e di dover subire la stessa sorte di tante malcapitate.
La prima volta colpì nel sobborgo balneare di Clovelly nel 1985, il suo ultimo assalto, in un vicino cimitero nel 2001. Ogni violenza, compiuta su donne tra i 14 e i 55 anni. Le vittime ne avevano fornito una accurata descrizione: alto dai 160 ai 180 cm, aveva una carnagione scura, occhi castani e un naso largo. Durante le violenze teneva il viso coperto e indossava abiti casual, come tute da ginnastica, felpe con cappuccio o pantaloncini da calcio. Minacciava le sue vittime con un coltello o faceva loro credere di averne uno addosso.
Nel 2019 la svolta: la polizia trova una corrispondenza del dna dell’uomo, nel database che conteneva quello di 12 vittime di violenza sessuale. Da quel momento ripartono le indagini e si viene a scoprire che il mite personaggio in realtà è responsabile di 31 attacchi nei sobborghi orientali di Sydney tra il 1985 e il 2001. La notizia ha scosso la famiglia Simms che “non ne aveva idea ed era davvero scioccata“, come ha raccontato il detective Shelley Johns all’Herald.
Tra le molte domande che rimangono senza risposta per le vittime di Simms, la sua famiglia e il pubblico, c’è come sia riuscito a ingannare coloro che lo conoscevano e a sfuggire alla giustizia per così tanto tempo. La risposta risiede anche nel fatto che per molti anni la polizia pensava di cercare diversi colpevoli. Il fisico di Simms cambiava con l’età, le sue vittime non erano di un unico tipo e non colpiva sempre con lo stesso schema.
La polizia ha detto che Simms avrebbe fatto irruzione nelle case delle donne nel cuore della notte e le avrebbe stuprate nei loro letti, oppure si appostava dopo aver adocchiato la vittima, afferrandola mentre faceva jogging e trascinandole tra i cespugli o in un’area appartata. La sua vittima più anziana aveva 55 anni, la più giovane solo 14. Sono stati i 40 anni di progressi della tecnologia forense del dna che hanno consentito d fare questa sconcertante scoperta, anche se purtroppo il colpevole era già morto.
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