Alex Scott va controcorrente. La giornalista indossa la fascia arcobaleno in diretta contravvenendo alle regole del Qatar: chi è la donna.
I pregiudizi non hanno colore, nemmeno se si tratta di un cartellino: la sequela di diritti umani calpestati in Qatar prosegue con l’intolleranza verso chi – tra giocatori e tecnici – indossa la fascia arcobaleno per stimolare l’abitudine alla diversità. Pena: un cartellino giallo. Così Harry Kane, tra gli altri, ha dovuto cedere alle regole. Niente fascia colorata: la rivoluzione al suo posto l’ha fatta Alex Scott. Giornalista della BBC, inviata per raccontare il Mondiale, giovane e tenace.
La donna si presenta a bordo campo con il consueto microfono per raccogliere sensazioni e umori delle partite. Al braccio una fascia arcobaleno: capitano dei diritti. O capitana, a seconda di come vogliate concepire le sfumature lessicali. Non cambia la sostanza. C’è un popolo che lotta e la cronista è con loro. Una comunità che cerca risposte anche dai gesti più semplici.
Alex Scott, chi è la giornalista con la fascia “One Love”
La giornalista è andata a segno con un piccolo grande atto di coraggio, ma per chi la conosce è solo una splendida conferma: Alex Scott, infatti, non si è mai tirata indietro di fronte ai soprusi. Ex calciatrice di 38 anni, ha disputato Europei e Mondiali di categoria. Conosce benissimo le difficoltà ad emergere che può avere una giovane campionessa, per questo comprende ancora meglio la necessità di allargare le vedute per abbattere i luoghi comuni. Proprio a fronte di quest’esigenza la BBC manda lei in Qatar, come terzo occhio vigile su quanto sta accadendo.
La situazione va monitorata e combattuta civilmente: lo spettro dei diritti negati è costante, non deve essere – secondo la testata britannica – scavalcato dalle performance calcistiche. Pertanto anche una fascia, al momento opportuno, può fare la differenza. La BBC proprio attraverso l’abbigliamento ha comunicato un certo tipo di condotta per un’occasione decisamente diversa: alla morte della Regina Elisabetta ogni commentatore era vestito di nero, secondo un protocollo ben preciso all’interno del paradigma “London Bridge is down”. Stavolta si tratta di un’altra vicenda, il ponte da abbattere è quello dei tabù.