L’Ikea, una delle più grandi aziende mondiali dei mobili “fai da te”, è al centro di un’inchiesta internazionale per il legno che viene usato per i suoi arredi. Netta la risposta del colosso svedese, che non è però nuovo a questo tipo di problemi.
Chi ha acquistato un mobile da Ikea, spesso lo ha fatto per il prezzo estremamente conveniente, forse un dei più bassi del mercato. Ma ora è proprio questo ad aver creato uno scandalo su cui si sta cercando di far chiarezza, con un’inchiesta a livello internazionale.
Probabilmente il legno usato per i mobili è così conveniente, perché a lavorarlo sono dei carcerati. È da qui che parte l’inchiesta condotta dal team di Disclose, il sito di giornalismo investigativo francese, che ha scoperto che buona parte dei 10 mila lavoratori collegati all’azienda svedese in Bielorussia, erano in realtà prigionieri ai lavori forzati.
Una vera doccia gelata per l’azienda, che ha sempre paventato un estremo rispetto per le condizioni di lavoro dei suoi dipendenti, e che ha immediatamente risposto alle accuse: “Siamo chiari sul fatto che le violazioni dei diritti umani non possono convivere col nostro business“, si è difesa Ikea sottolineando di aver deciso di interrompere i rapporti con Minsk già nel giugno 2021 “a causa della situazione legata ai diritti umani“, decisione poi accelerata “dalla guerra in Ucraina e dalle sanzioni internazionali“. La società sottolinea inoltre di “non accettare nessun lavoro forzato, o di carcerati“, ma ammette di “non poter garantire che non ci siano casi di cattiva condotta“.
I rapporti tra Ikea e il presidente della Bielorussia Alexander Lukashenko sono iniziati nel 1999. Da allora, si legge nell’inchiesta di Disclose, la Bielorussia, dove lo Stato è proprietario di tutte le foreste, è diventata la seconda fornitrice mondiale di legno di Ikea, e una di quelle a costo minore. Tutto questo per un giro d’affari cresciuto fino a oltre 300 milioni di euro soltanto lo scorso anno.
“Almeno dieci fornitori bielorussi di Ikea, quasi la metà dei principali partner, avevano legami con le prigioni. Si tratta di campi di lavoro particolarmente brutali, noti per la pratica della tortura, o della privazione di cibo o cure mediche, l’esatto opposto dei valori sbandierati dalla compagnia svedese“, si legge ancora.
Il campo IK-15, da dove arrivavano i lavoratori impiegati dal fornitore di Ikea Mogotex, “è una terra dell’orrore, dove gli scagnozzi di Lukashenko fanno quel che vogliono“, racconta un testimone, il 19enne Tsikhan Kliukach incarcerato per 10 mesi con l’accusa di aver partecipato nel 2021 a una delle manifestazioni anti-regime che infiammarono il Paese.
“Ci picchiavano selvaggiamente e con i prigionieri politici, costretti tra l’altro a portare un adesivo giallo sul petto, erano particolarmente violenti“, racconta ancora giovane, aggiungendo che all’interno del centro di detenzione “si vociferava che i pezzi per Ikea venissero prodotti nella fabbrica del campo e poi esportati direttamente in Europa“.
Ikea era già finita in un caso simile nella Germania Est degli anni ’70 e ’80. Dopo lo scandalo esploso nel 2012 l’azienda si disse “profondamente dispiaciuta“. Più recentemente, nel 2020, era finita nel mirino dei sindacati proprio per i suoi rapporti in Bielorussia.
L’Organizzazione internazionale del lavoro dell’Onu aveva fortemente condannato Minsk per il mancato rispetto degli standard internazionali, ciononostante, denunciavano i sindacalisti di Ikea, il gigante svedese aveva continuato la sua collaborazione con fornitori che si sospettava non rispettassero “i diritti del lavoro né quelli umani“.
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