Operazione “mare aperto”. Traffico di migranti dalla Sicilia a Tunisi e di nuovo sulle coste italiane. 18 Persone indagate, 12 in arresto, 6 irreperibili. Indagini che proseguono. In caso di varia “Sbarazzarsi del carico in alto mare”
Un’operazione avviata nel 2019, ma che questa mattina alle prime luci dell’alba, ha visto il suo apice: 120 uomini della Polizia di Stato, della Squadra Mobile di Caltanissetta, del Commissariato di P.S. di Niscemi, del Reparto Prevenzione Crimine e Unità Cinofile e Reparto Volo di Palermo, hanno proceduto alla cattura delle persone indagate, come disposto dalla Procura Distrettuale Antimafia di Caltanissetta.
18 I destinatari delle misure cautelari, 12 sono stati arrestati, mentre 6 sono tuttora irreperibili. Le indagini quindi continueranno nelle ricerche anche all’estero.
L’hanno ribattezzata “operazione mare aperto”. Le persone attualmente indagate sono accusate di associazione per delinquere finalizzata al favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. Secondo quello che gli investigatori hanno ricostruito fino a questo momento, diverse imbarcazioni sarebbero partite dal porto di Gela o dalle coste dell’agrigentino per raggiungere la Tunisia e far immediato rientro con il “carico” di migranti.
Ma quando sono partite le indagini? L’attività investigativa, iniziava in concomitanza di questo episodio: Il 21 febbraio 2019 all’imbocco del porto di Gela si incagliava una barca in vetroresina di 10 metri con due motori da 200 cavalli, segnalata da un pescatore del luogo. Si scoprì che l’imbarcazione, era stata rubata a Catania pochi giorni prima e che dalla stessa erano sbarcate decine di persone, presumibilmente di origini nord africane. La Polizia di Stato, forte della conoscenza del territorio, risalì quasi subito ad una coppia di origini tunisine che consentiva a migranti in arrivo dal nord Africa, l’ingresso “irregolare” nel nostro Paese.
Il lavoro delle forze dell’ordine è ovviamente proseguito, e secondo la ricostruzione fatta dalla Procura della Repubblica nissena, a carico degli indagati, 11 di nazionalità tunisina e 7 italiana, sussistono gravi indizi di partecipazione a un’organizzazione criminale dedita al favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. Il reato risulterebbe aggravato dal fatto che l’associazione era composta da più di dieci persone, e aveva carattere transnazionale, in quanto operativa in più stati. Contestata inoltre agli indagati l’ aggravante di aver esposto a serio pericolo di vita i migranti, di averli sottoposti a trattamenti inumani e degradanti. Tutti i reati commessi, ovviamente, avevano scopo di lucro.
Questa presunta organizzazione criminale sarebbe stata gestita dunque da quell uomo e da quella donna entrambi tunisini, che controllavano tutto da una casa nel territorio di Niscemi. Le indagini hanno permesso di individuare anche un altro soggetto di Niscemi che avrebbe avuto il ruolo di capo; 2 tunisini con base operativa a Scicli che avrebbero avuto il compito di gestire le casse dell’associazione per delinquere; 5 italiani che avrebbero curato gli aspetti logistici, come l’ospitalità subito dopo lo sbarco sulle coste siciliane ed il trasferimento degli scafisti dalla stazione dei pullman alla base operativa; 4 scafisti (un italiano e 3 tunisini) e 4 tunisini che avrebbero avuto il ruolo di “connection man” con il compito di raccogliere il denaro dei migranti che volevano raggiungere l’Europa.
L’organizzazione si appoggiava a vari punti strategici dislocati in Sicilia: Scicli, Catania e Mazara del Vallo. Per le tratte, impiegava piccole imbarcazioni, munite di potenti motori fuoribordo, guidate da esperti scafisti che si muovevano nel braccio di mare tra le città tunisine di Al Haouaria, Dar Allouche e Korba e le province di Caltanissetta, Trapani e Agrigento, così da raggiungere le coste italiane in meno di 4 ore. Gli scafisti riuscivano a trasportare dalle 10 alle 30 persone per volta. Le persone correvano serissimi rischi di vita.
In Tunisia, prima della partenza, ogni persona che voleva intraprendere questo viaggio rischioso e illegale, arrivava a pagare dai 3000 e i 5000 euro. L’organizzazione quindi per ogni viaggio arrivava a guadagnare per ogni viaggio dai 30.000 ai 70.000 euro. Il denaro raccolto in Tunisia sarebbe stato inviato in Italia, a Scicli, in provincia di Ragusa, attraverso agenzie internazionali, specializzate in servizi per il trasferimento di denaro.
Base operativa della presunta associazione, una vecchia masseria alla periferia di Niscemi, dove c’è anche un campo volo privato, il cui proprietario, un imprenditore agricolo niscemese, è attualmente indagato e destinatario della misura cautelare in carcere perché ritenuto tra i capi dell’organizzazione. Nella casa, sarebbero stati ospitati anche “gli scafisti di spola” e il suo proprietario, dalle indagini effettuate, in più occasioni sarebbe andato a Tunisi in qualità di portavoce. Insomma prendeva accordi per le future traversate.
Il 26 luglio 2020, in uno dei viaggi pianificati dagli indagati, un’imbarcazione sarebbe partita dal Porto di Licata in direzione delle coste tunisine per prelevare “il carico di esseri umani” per condurli in Italia. L’avaria di entrambi i motori non ha permesso però la conclusione del viaggio. L’imbarcazione resta alla deriva, a “mare aperto”. Da qui il nome dell’operazione di oggi. E proprio in caso di avaria al motore, il diktat degli organizzatori delle tratte era chiaro: “Sbarazzarsi dei migranti in alto mare”.
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