Manca poco al 31 dicembre, data entro la quale si deve affrontare il delicato tema delle pensioni. Se entro il 1° gennaio 2023 non si metterà mano a una nuova riforma, rientrerà in vigore la legge Fornero. E allora, come promesso in campagna elettorale, il nuovo esecutivo sta pensando a una manovra. Si discute, in particolare, di Quota 41. Ma questa soluzione davvero risolverà l’annoso problema del sistema pensionistico italiano? Al quotidiano online Free.it Felice Roberto Pizzuti, docente di Economia politica dell’Università Sapienza di Roma.
Secondo le previsioni del governo, e come fortemente voluto dalla Lega, si procederà con Quota 41, anche se in versione ridotta, perché non ci sarà tempo sufficiente per una riforma completa. E allora si comincia un po’ per volta. Ma quali sono i problemi? Al quotidiano online Free.it risponde e spiega Felice Roberto Pizzuti, docente di Economia politica dell’Università Sapienza di Roma.
Cosa ne pensa di questa Quota 41 di cui si sta discutendo?
“Credo che siano ormai più dieci anni che si cerca di mettere delle toppe difficili da piazzare a una riforma Fornero, nata in un periodo molto particolare. Che anche in quel periodo molto particolare non aiutò a risolvere né la situazione pensionistica, tantomeno l’equilibrio macroeconomico del Paese. Perché quei tagli che furono fatti giocarono più contro che a favore per risolvere la situazione. Sicuramente, però, destabilizzarono il sistema pensionistico che, per sua struttura non è una cosa che può essere utilizzato per obiettivi di ordine contingente. Come, per esempio, per fare cassa”.
Come si dovrebbe ragionare, invece?
“Il sistema pensionistico si muove su tempi lunghi, su vincoli d’ordine democratico, su scelte politiche sulla distribuzione del reddito tra attivi e anziani. Su come lo stesso sistema pensionistico interagisce con il sistema macroeconomico e con la crescita. Tutti gli interventi che ci sono stati in questi dieci anni sono stati costretti dal recuperare i problemi di quella riforma. E quindi, tutti gli interventi per recuperare la situazione degli esodati, che sono stati fatti più di una decina di interventi che sono costati un sacco di soldi e non hanno risolto il problema. Poi c’è stata quota 100, quota 101. Adesso si discute di quota 41 di anzianità. Poi facciamo interventi ad hoc per le donne, per gli uomini, allunghiamo l’ape sociale. Ma sono tutti tentativi di risolvere un problema grave”.
Cioè?
“Più della metà di coloro che hanno cominciato a lavorare negli anni ’90 e che quindi adesso hanno già accumulato più di 20 anni, andrà in pensione tra quindici/20 anni. Il problema è che la maggior parte di queste persone ha accumulato contributi che, per colpa del sistema così come è organizzato e degli andamenti macroeconomici. Ma anche per colpa della demografia, il quadro è che più della metà di queste persone maturerà una pensione contributiva che sarà al di sotto della soglia di povertà.
“Questo dato significa che sta maturando una bomba sociale. E non c’è nulla di retorico o di esagerato in questa espressione. E’ proprio così. Lo stiamo dicendo nel rapporto sullo stato sociale ormai da una decina d’anni. Perché il tempo non fa altro che confermare, stante le varie crisi, che questa è la situazione che si prospetta”.
A meno che?
“A meno che non si dica ok, fermi tutti. Non facciamo più le toppe e vediamo di risolvere Il Problema del nostro sistema pensionistico e di come questo sistema interagisce e interagirà con il quadro macroeconomico. Se non si fa questo, tutto il resto è campagna elettorale permanente. Nulla di più. Significa risolvere il problema di qualche certo numero di persone, ammesso che lo si risolva davvero, contando in un voto elettorale. E francamente i problemi strutturali non si risolvono così”.
Attualmente, però, si discute di quota 41…
“Stiamo ancora una volta pensando alla toppa del 2023, proviamo con questa soluzione provvisoria qui, ammesso che si riesca a farla. Anche questo governo, come per altro tutti i precedenti, non sono stati in grado di mettere in atto una revisione vera del sistema pensionistico. O non hanno voluto. E quindi, si continua così. Nessuno si vuole assumere la responsabilità di togliere la toppa e di mettere mano a una revisione vera”.
Ma questa quota 41 come funzionerebbe?
“Si andrà in pensione con 41 anni di anzianità contributiva, anche in presenza di un’età di 61, 61 anni. Basta che, per esempio, si sia cominciato a lavorare a 20 anni e si può andare in pensione a 62 anni. Cioè, significativamente prima dei 67 previsti dalla legge Fornero. E’ chiaro che alla platea questa soluzione piace, ma tutto questo andrebbe inserito in un discorso che ripropone un criterio di elasticità. Come per altro c’era nel ’94 con la riforma Dini”.
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