Morte Luca Attanasio, chiesto il rinvio a giudizio per i due dipendenti Onu che organizzarono la missione in Congo in cui morirono l’Ambasciatore italiano e il Carabiniere Vittorio Iacovacci.
A 9 mesi dalla chiusura delle indagini la Procura di Roma ha chiesto il rinvio a giudizio nei confronti di Rocco Leone e Mansour Luguru Rwagaza, i due dipendenti del Programma alimentare mondiale (Pam), agenzia dell’Onu, per la morte di Luca Attanasio e Vittorio Iacobacci, uccisi in Congo il 22 febbraio dello scorso anno.
Ai due organizzatori della missione nel nord del Paese africano, nella quale morirono i due italiani, il Procuratore Francesco Lo Voi e l’aggiunto Sergio Colaiocco, contestano il reato di omicidio colposo. Secondo la Procura, Leone e Luguru Rwagaza avrebbero “omesso, per negligenza, imprudenza e imperizia ogni cautela idonea a tutelare l’integrità fisica dei partecipanti alla missione Pam“. Missione che percorreva la strada Rn2 “sulla quale, negli ultimi anni, vi erano stati almeno una ventina di conflitti a fuoco tra gruppi criminali ed esercito regolare”.
Omicidio Attanasio, chiesto processo per due dipendenti Onu: le accuse
I due indagati sono accusati di avere “attestato il falso, al fine di ottenere il permesso dagli uffici locali del Dipartimento di sicurezza dell’Onu, indicando nella richiesta di autorizzazione alla missione, al posto dei nominativi dell’Ambasciatore Attanasio e del Carabiniere Iacovacci, quelli di due dipendenti Pam“. Così avrebbero indotto “in errore gli uffici in ordine alla reale composizione del convoglio. E ciò in quanto non avevano inoltrato la richiesta, come prescritto dai protocolli Onu, almeno 72 ore prima”, spiegò in una nota la Procura al momento della chiusura delle indagini.
Leone e Luguru Rwagaza avrebbero inoltre “omesso di predisporre le cautele richieste dalla classificazione di rischio attribuita al percorso da effettuare”. Percorso che, “pur avendo dei tratti classificati ‘verdi’, cioè a rischio basso, aveva anche delle parti classificate ‘gialle’, cioè a rischio medio. Misure che avrebbero imposto “di indossare, o di avere prontamente reperibili, il casco e il giubbotto antiproiettile“.
Non solo, i due indagati avrebbero anche omesso, in presenza di un Ambasciatore che, “rappresentando il proprio Paese, costituisce soggetto particolarmente a rischio, di approntare ogni utile ulteriore misura di mitigazione del rischio“.