Oggi è il giorno di Giorgia Meloni al Senato. La nuova premier non ha fatto il discorso, come ieri alla Camera. Ma ha da poco replicato alla discussione, iniziata questa mattina alle 13. La maggioranza è in tensione in particolare per l’intervento di Silvio Berlusconi, che nei giorni prima del giuramento ha mitragliato Meloni con una serie di dichiarazioni. Ed è il giorno in cui le opposizioni possono chiarire le proprie posizioni. Che impatto hanno sul governo? Che ruolo avranno? A Free.it il politologo Roberto Biorcio, docente di Scienze politiche alla Bicocca di Milano.
Il Pd nei giorni scorsi ha attaccato Meloni sugli articoli determinativi: il e la presidente? O sui nomi delle donne che la premier ha citato senza cognome. Mentre il M5S sembra andar più dritto per dritto contro alcuni temi che il governo intende portare avanti. Avranno la forza di fare davvero opposizione? Intanto, ecco alcuni spunti di riflessione.
Come giudica questi primi passi del governo Meloni?
“In qualche modo il centrodestro è riuscito a ritrovare l’unità, almeno d’apparenza. La Meloni ha fatto un discorso per ribadire i punti chiave del programma ma ha anche sottolineato, entro certi limiti, la volontà di mantenere la continuità con Draghi. Da questo punto di vista è riuscita ad ottenere i consensi di molti settori economici, di Confindustria e a far decollare la coalizione. Pur mantenendo evidente l’identità di destra, come ha fatto, per esempio, cambiando i nomi di alcuni ministeri. Tolti alcuni elementi ideologici, resta non chiarissimo cosa vogliono fare rispetto ai problemi incombenti di questo periodo: l’aumento del costo dell’energia, l’aumento della povertà”.
Secondo lei, come hanno cominciato le opposizioni in parlamento?
“Tra ieri e oggi, le opposizioni hanno certamente segnalato i limiti delle proposte di Meloni; quindi, anche il fatto che su alcuni provvedimenti urgenti non ci sono idee precise. Hanno criticato, per esempio, l’idea di alzare il tetto per l’uso del contante, cosa che favorirebbe l’evasione fiscale. Naturalmente, tra le opposizioni, sono riemersi anche tutti gli elementi di differenza che poi hanno reso difficile realizzare una coalizione unitaria. Sia tra Pd e 5 stelle, ancor di più con il terzo polo. Diciamo che il decollo del governo non ha creato unità attorno all’idea di opposizione.
Sembra, però, che l’opposizione sia abbastanza inconsistente, almeno per ora. Il Pd, in particolare, si è accanito sull’uso dell’articolo femminile o maschile per definire Meloni. O al “tu” dato a Soumaroho. O ai nomi delle donne citate senza cognome. Pensa che sia una strategia efficace?
“Penso che non sia una strada utile per il Pd. E’ un limite che è venuto fuori già durante la campagna elettorale. Il problema è che in questo momento non ha contenuti e non si aggancia a temi che potrebbero essere cruciali per i cittadini. Non si parla mai, per esempio, di rafforzamento della sanità pubblica. Oppure, su altri temi, ci si scontra su questioni puramente ideologiche come sul tema della guerra.
O meglio, sulla pace, dal momento che all’iniziativa del 5 novembre le opposizioni non andranno in maniera compatta. Il Pd è molto cauto su certi temi, non attacca su temi importanti, ma si concentra su dettagli. E’ evidente che c’è una difficoltà a proporre un’alternativa su alcuni punti”.
Secondo lei, in prospettiva, ci sarà un riavvicinamento tra Pd e 5 Stelle?
“Non a brevissimo termine. Adesso il Pd deve fare il suo congresso, deve chiarire qual è la sua identità, cosa che tuttora resta incerta. Non si capisce se ha o vuole avere una linea più di sinistra che batte sul tema delle disuguaglianze e sui diritti. O una linea più di tipo centrista, che ci tiene di più a sottolineare la propria coerenza con una serie istanze. Finora, tra Pd e 5 Stelle non sono emersi segnali di convergenza, ma penso che sia inevitabile nell’arco dei sei mesi, arrivare una convergenza.
Soprattutto quando il governo entrerà nel vivo dei lavori e prenderà decisioni concrete. Allora ci sarà da discutere e da capire. Ovviamente, penso che se le opposizioni vogliono contestare in modo efficace Giorgia Meloni, sia inevitabile che si crei un’alleanza. Quanto meno su alcune battaglie. Per esempio, un tema caldo sarà quello del reddito di cittadinanza, che il M5S difende a spada tratta mentre nel Pd ci sono alcuni che sono contrari. Vedremo”.
Ieri Matteo Orfini ha proposto di anticipare il congresso del Pd. Dovrebbe essere tra 5 mesi ma forse è un po’ troppo in là, considerando la confusione del partito. Cosa ne pensa?
“Penso che sia sensato. Prima il Pd risolve il problema di identità, prima potrà capire come e con chi allearsi. E potrà meglio anche gestire la sua opposizione, puntando su temi e non si dettagli di poco conto. Penso che sarebbe utile e ragionevole anticipare il congresso al prima possibile. Non solo per scegliere il nuovo o la nuova segretaria, ma anche per definire con più chiarezza alcuni punti chiave della sua mission”.
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