“Non è più tempo di recriminare, nè di cercare vendette. Rilanciamo l’azione di partito”. Dalle colonne de La Repubblica, il neo vicepresidente della Camera Giorgio Mulè in quota FI cerca la distensione ma soffia sul fuoco. “L’atteggiamento di Giorgia Meloni ha creato disappunto“, dice nell’intervista al quotidiano. E chiede un passo indietro a Tajani come coordinatore nazionale degli azzurri. Poi arriva il chiarimento via social di Mulè.
A chi le dà e a chi le promette. Giorgio Mulè (FI) smette i panni appena indossati del vicepresidente di Montecitorio, per indossare quelli del giornalista che in fondo, non ha mai dimenticato di essere.
E in un’intervista al quotidiano La Repubblica, che sta facendo molto discutere, lancia segnali precisi: al suo partito, guardano al futuro prossimo, e al neo presidente del Consiglio, in qualità di alleata di coalizione, pensando al recente passato.
“Non ci sentiamo sfregiati nè umiliati – risponde Giorgio Mulè quando gli viene chiesto della farraginosa lotta che ha accompagnato la formazione del nuovo esecutivo – Ma ha provocato disappunto l’atteggiamento di Giorgia Meloni”. Non esattamente un commento distensivo quello del neo vicepresidente della Camera, che pure poco dopo afferma che ormai non sia più tempo di recriminare o pensare a vendette. Intanto però la risposta è lì per essere letta e commentata.
Mulè nell’intervista torna al tema dominante di tutta la passata settimana: Silvio Berlusconi, gradirebbe un uso maggiore del condizionale in luogo di un imperativo dominante. Ne va del buon percorso del governo. Sminare i pericoli interni, quando quelli che provengono da fuori, sono ben noti a tutti. Meloni in primis.
Ma è dentro FI che l’onorevole Mulè individua le insidie più preoccupanti. é risaputo che nel partito convivano almeno due compagini a darsi battaglia, dialettica per carità! I falchi contro le colombe. “Ci sono state frizioni – ammette il forzista – tra chi si riteneva iscritto ad una fazione e chi all’altra”.
Inevitabile chiedere come tutto questo si risolva, prima che un’implosione abbia luogo, nella peggiore delle ipotesi ovviamente! Giorgio Mulè ha un’idea chiara su questo: Antonio Tajani e Anna Maria Bernini dovrebbero fare un passo indietro, prima che a fare delle scelte sia il Cav in persona.
Ovvero? Antonio Tajani è vicepremier e titolare della Farnesina nel Governo Meloni. Coordinatore nazionale di FI, se si guardano gli incarichi politici interni al partito. Anna Maria Bernini, neo ministro dell’ Università, è anche vicecoordinatrice degli azzurri. Ecco, dice Mulè nell’intervista a La Repubblica, sarebbe meglio si optasse per una scelta “Ci sono interventi sulla spina dorsale del partito ormai indefettibili”. Più chiaro di così.
E come detto, Berlusconi ne è perfettamente consapevole. Ma se FI alle ultime politiche è arrivata all’ l’8%, il merito tanto per cambiare, è ancora una volta il suo, ricorda ancora Mulè. E allora come la mettiamo con gli audio del presidente su Putin e “contro” Zelensky, con le lettere dolci e i regali arrivati dalla Russia? “Berlusconi soffre nel vedere un Putin diverso da quello conosciuto 20 anni fa”. Spiega, motiva, contestualizza Giorgio Mulè.
Ecco perchè mentre si pensa a mercoledì, quando la neo premier terrà il suo discorso in Senato per chiedere di votare la fiducia al suo governo, in realtà si guarda molto anche a cosa dirà il senatore Silvio Berlusconi. “Farà un discorso alto e nobile”. Ne è certo il vicepresidente della Camera. Non resta che aspettare il giorno di Montecitorio.
Mercoledì alle 13 dovrebbe svolgersi la discussione generale; alle 16.30 replica del Presidente del Consiglio, che procederà poi con le dichiarazioni di voto voto. L’intervista di Giorgio Mulè a Repubblica, ha destato parecchio clamore e qualche ora dopo, è lo stesso vicepresidente della camera a spiegare cosa sarebbe accaduto nella realtà dei fatti. Per farlo usa Twitter. “Il titolista mi attribuisce un suo pensiero mettendolo tra “. Il lettore non troverà nel testo di essere “deluso” da Meloni nè che Tajani “deve dimettersi”. In quest’ultimo caso sarei incorso nell’uso dell’imperativo che non si coniuga in politica.
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