Chiesta la riapertura delle indagini su Unabomber, giornalista recupera reperti mai analizzati: “Con le nuove tecnologie potrebbero dare le riposte che cerchiamo”.
Trentaquattro attentati rimasti per ventotto anni senza responsabile nonostante le indagini di cinque Procure. Un caso che oggi potrebbe riaprirsi grazie ad un capello bianco e una traccia di saliva. Reperti già registrati dopo il sequestro dell’uovo esplosivo al supermercato “Il Continente” di Portogruaro, ma che oggi, alla luce delle nuove tecnologie disponibili potrebbero fare chiarezza sul giallo del bombarolo seriale che tra il 1994 e il 2006 terrorizzò Veneto e Friuli Venezia Giulia.
A distanza di 28 anni dal primo attentato, il giornalista e autore Marco Maisano ha chiesto, e ottenuto, l’autorizzazione da parte del Procuratore di Trieste Antonio De Nicolo a esaminare la valanga di reperti e documenti accumulati su Unabomber fino a oggi. Durante le verifiche sul materiale, Maisano avrebbe rinvenuto le carte relative al capello dell’uovo inesploso il 3 novembre 2000 e i verbali in cui si fa riferimento a delle tracce di saliva.
Per questo motivo il giornalista ha chiesto ufficialmente, assieme a due vittime dell’attentatore, una nuova analisi dei reperti. Questa volta con i più sofisticati strumenti tecnologici a disposizione della Polizia Scientifica. E a giorni la stessa Procura di Trieste, che ha concesso l’autorizzazione, potrebbe fare domanda al Gip per la riapertura delle indagini.
Unabomber ha diffuso il terrore nel nord-est del Paese per oltre 10 anni con esplosioni che hanno causato alle vittime degli attentati gravi ferite e mutilazioni. Tutto ebbe inizio nel 1994, verosimilmente sull’onda della vicenda del primo Unabomber, il matematico statunitense Theodore Kaczynski che tra la fine degli anni ’70 e il 1995 spedì diverse decine di pacchi bomba uccidendo 3 persone e ferendone 23.
Il primo attentato dell’Unabomber italiano avvenne il 21 agosto 1994 alla Sagra degli Osei, a Sacile, in provincia di Pordenone quando l’esplosione di un tubo-bomba, riempito con polvere da sparo e biglie di acciaio, provocò tre feriti.
L’attentato di Sacile fu solo il primo attentato, a cui seguirono altri episodi di deflagrazioni di tubi-bomba che caratterizzarono la prima ondata di esplosioni, tra il 1994 e il 1996. Poi quattro anni di silenzio, prima del ritorno con ordigni più piccoli e sofisticati fino all’ultimo attentato del 2006.
A firmare l’istanza per l’analisi dei nuovi reperti, oltre al giornalista Marco Maisano, c’è Francesca Girardi, che il 25 aprile del 2003, all’età di 9 anni, fu vittima di uno degli attentati di Unabomber. “Ce l’ho impresso nella memoria da vent’anni – dice la donna oggi 28enne – era brizzolato, con i capelli corti, gli occhiali e una camicia colorata, floreale, tipo quelle hawaiane. Mia madre si era accorta che un estraneo girava da quelle parti. Lui era lì, ci guardava giocare ha scelto proprio noi”, ha raccontato Girardi. “Da grande ho rielaborato l’accaduto. A ferirmi profondamente è stata proprio la consapevolezza che non si è trattato di un incidente o di una disgrazia, ma di un atto voluto”, ha concluso.
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