Il Libano sta sprofondando sempre di più in una crisi economica che non si era mai vista prima. Nemmeno degli anni della guerra, tra il 1975 e il 1990. Di fatto, alcune condizioni di vita, diventate precarie durante il conflitto, nessuno le ha mai ripristinate. E con le difficoltà degli ultimi anni, le cose sono anche peggiorate.
In questi giorni Free.it è a Beirut e in altre città libanesi, per indagare questa crisi e capire fino a che punto la situazione è tragica. Negli ultimi giorni, in molte città del Paese ci sono stati assalti alle banche, perché i cittadini vogliono riprendersi i loro soldi. I conti sono stati bloccati negli ultimi tre anni mentre, contemporaneamente, la moneta si svalutava.
Ora come ora, la lira libanese è come fosse carta straccia e il potere d’acquisto è pari allo zero. Intanto, però, aumentavano i prezzi mando praticamente sul lastrico gran parte della popolazione. “La situazione è molto grave”, racconta Hadia, una studentessa che vive a Beirut da due anni. “Per fare un esempio, il pane costava tra le 1000 lire e le 1.200 lire, ora costa diecimila lire. Vuol dire che è passato da meno di 1 euro a quasi 7 euro”. Girando per la città, abbiamo visto molti chiedere l’elemosina e non si tratta più, come all’inizio di profughi siriani. Adesso, per le strade accucciati a chiedere 100mila lire sono anche i libanesi, persone anziane che non riescono più a vivere.
Qualche giorno fa tre banche in diverse città del Paese sono state assaltate. La gente è arrabbiata perché i conti sono stati bloccati e ora rivuole indietro i propri risparmi. La polizia ha sedato le rivolte ma adesso, camminando per le strade della capitale abbiamo visto tutte le banche protette dai militari, con assi di legno a sbarrare gli ingressi e filo spinato a proteggere il perimetro. “Il governatore della Banque du Liban, Riad Salameh ha rubato tutti i soldi e ha commesso molti reati” spiega Ismael, che lavora per un’associazione umanitaria.
“Su di lui c’è una indagine della magistratura, ma finora è libero e felice con i suoi soldi. E’ accusato di riciclaggio, appropriazione indebita e utilizzo dei fondi pubblici. Ma non sta pagando. Addirittura si dice che sia riuscito a scappare dal Libano, nonostante il divieto di lasciare il Paese. E che ora vive in un attico a Parigi. Acquistato sempre attraverso i soldi della banca”.
Libano, Free.it ha incontrato i cittadini di Beirut. “Siamo un Paese fallito, abbiamo paura del futuro…”
A questo si aggiunge, poi, la crisi politica. Il mandato di sei anni del presidente Michel Aoun scade il 31 ottobre. Per questo, l’iter parlamentare per eleggere un nuovo capo di governo è iniziato lo scorso 29 settembre.
Finora, non ci sono stati passi avanti. I 128 parlamentari dovranno eleggere un membro della comunità cristiana maronita. Ma tutti sanno che non sarà facile. Basti pensare che l’ultima volta, il parlamento è rimasto senza una guida per 29 mesi. Ieri c’è stata una nuova sessione del parlamento per cercare di eleggere il nuovo presidente. Ma, come previsto, non c’è stato un nulla di fatto. La popolazione libanese è molto arrabbiata con i politici, accusati di essere corrotti e indifferenti alle difficoltà dei cittadini. Difficoltà materiali e concrete.
Il governo fornisce solo una ora di elettricità al giorno. Per il resto del tempo niente. Perciò, chi ha i soldi può affittare dei generatori di corrente pagando in media 250 dollari al giorno. Chi non può permetterselo, resta al buio. Non può utilizzare il frigorifero, gli elettrodomestici in generale. E spesso si va alla caffetteria solo per caricare telefono e computer. Fuori Beirut le cose vanno anche peggio. “Qui a Tripoli, la corrente è arrivata solo un ora in tutta la settimana”, racconta Amina. “Perciò quasi tutti sono costretti a pagare i generatori, che sono gestiti da società esterne. Le quali hanno tutto l’interesse a che il governo non ripristini la rete elettrica. E’ tutta una mafia qui”.
E poi c’è il problema del colera che si sta diffondendo. Mercoledì c’è sta la prima vittima accertata da quando la malattia è ricomparsa nel Paese. Dopo 30 anni. Secondo il ministero della salute, per ora ci sono 26 casi confermati di colera, otto nelle ultime 24 ore. Il cittadino che è morto viveva nella zona di Akkar, al confine con la Siria, dove vivono attualmente oltre 100 profughi di guerra. Pare che proprio da lì sia arrivata la malattia, ma è ancora tutto da accertare. E poi, certo, c’è il Covid.
A complicare le cose, due anni fa, ci si è messa l’esplosione dei silos nel porto di Beirut, che hanno provocato morti e distruzione. Per quella vicenda non è stata nemmeno aperta una inchiesta e una delle strutture che conteneva nitrato d’ammonio è ancora lì. Pericolante. Così come sono ancora lì i palazzi sventrati lungo la strada che costeggia il porto.