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Cronaca

Emanuela Orlandi, Netflix apre il vaso di Pandora | La ragazza era nelle mire di…

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Ludovica Allegri

Trentanove anni dopo la scomparsa della 15enne Manuela Orlandi, Netflix si interessa al caso con la docu-serie “Vatican Girl”, che segue una nuova pista portata alla luce da un’amica della ragazza scomparsa.

Quella di Manuela Orlandi non è stata soltanto la storia di una ragazza scomparsa nel nulla, ma dentro c’è molto di più, risvolti finanziari, criminali, e scandali sessuali che hanno scosso le coscienze e convergono tutte, da sempre, nello stesso luogo: il Vaticano. 

L’intricato giallo di Manuela Orlandi

Una nuova pisa da seguire

Tutte le prove fin dall’inizio del rapimento, il pomeriggio del 22 giugno 1983 quando Emanuela uscì dalla scuola di musica dietro Piazza Navona e svanì nel nulla, portano alle impenetrabili mura vaticane. E proprio partendo da questo assunto, si può comprendere perché quello di Manuela Orlandi non è solo il rapimento di un minorenne. 

Emanuela è stata una vittima ma anche un mezzo per estorcere enormi quantità di denaro. Dopo 39 lunghissimi anni, in cui la famiglia Orandi, ma soprattutto suo fratello Pietro hanno sperato e ancora lo fanno, di “ritrovarla viva o morta“, molte delle persone che sapevano o erano coinvolte non ci sono più. Preti, monsignori, cardinali, criminali, finanzieri e anche un Papa Giovanni Paolo II.

Una nuova testimone

Ma nonostante un così lungo tempo, qualcosa ancora da poter raccontare c’è,  ed è proprio quella che Netflix ha scovato per la sceneggiatura di “Vatican Girl” che promette di far parlare molto. Scritta e diretta da Mark Lewis (prodotta da Chiara Messineo con Tom Barry e Dimitri Doganis per Raw), la storia si snoda per l’ennesima volta, partendo però da un altro punto di vista. 

Un’amica di Emanuela ha deciso di rivelare un segreto di cui lei la mise al corrente e lo ha fatto proprio in questa docuserie dal 20 ottobre su Netflix. Un segreto, mai venuto alla luce, che parla dell’interesse di un altissimo prelato, che si manifestò con un approccio all’interno delle Mura vaticane e turbò moltissimo Emanuela proprio alla vigilia della sua scomparsa.

Pietro Orlandi, il fratello di Manuela che chiede la verità da 39 anni

Una storia divisa in varie parti

La serie si snoda in due tempi, la prima parte che riguarda il rapimento, quando molto probabilmente Emanuela, si fece convincere a salire in macchina da qualcuno che le aveva promesso un lavoro, come sostengono alcuni testimoni, e il secondo tempo, che coinvolge il Vaticano con il Papa che si appellò dalla finestra del suo appartamento a “coloro i quali” erano responsabili della sua scomparsa.

Poi l’entrata nella storia della criminalità organizzata della Banda della Magliana che Enrico “Renatino” De Pedis aveva in parte trasformato in una sorta di service a disposizione dei poteri occulti, in grado di ricattare, uccidere e sequestrare. Ed è certamente questo il legame tra la Banda e i traffici dello Ior, la banca del Vaticano allora guidata dallo spregiudicato monsignor Paul Marcinkus, una delle piste principali che si intrecciano con questa storia.

Una storia di pedofilia oppure…

A questo punto ci sono due le possibili ipotesi: la prima quella di un rapimento sceneggiato su commissione di un potente pedofilo all’interno del Vaticano, mentre la seconda, quella del ricatto da parte di chi pretendeva dallo Ior la restituzione di una montagna di denaro che invece di essere riciclato era sparito nel crac da 1.200 miliardi di lire del Banco Ambrosiano di Roberto Calvi, di cui monsignor Marcinkus era corresponsabile.

Un ricatto senza mai fornire la prova in vita di Emanuela, ma talmente inconfessabile da costringere il Vaticano a trattare. E così fu. Con una serie di altri ricatti incrociati, documenti falsificati, intrecci internazionali (il killer mancato del papa Ali Agca, la Polonia di Solidarnosc cara a Giovanni Paolo II), e un silenzio lungo quasi quarant’ anni e tre pontificati che ha devastato una famiglia attende ancora risposte.

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