Fichi d’India, Max Cavallari ricorda l’amico e collega scomparso recentemente: Bruno Arena. Il retroscena sulla parentela.
Max Cavallari riparte da sè stesso e non è facile. Una vita in due, grazie anche e soprattutto alla vicinanza di Bruno Arena. Insieme erano (e resteranno) i Fichi d’India: esponenti di una comicità surreale che prendeva le mosse dal piglio anglosassone. Umorismo disincantato e viscerale basato sull’immediatezza.
Il loro numero più famoso resta la parodia dei Neri per Caso con tanti luoghi comuni e doppi sensi portati all’eccesso: immancabile il “Tichitic” d’accompagnamento. Una volta arrivata la malattia di Bruno, Max si è reinventato singolarmente come comico. La fortuna non è stata la stessa, ma Cavallari non ha dimenticato il suo amico. Ormai quasi fratello più che un semplice collega: la seconda parte di vita totalmente cambiata per Bruno. Diventava difficile anche fare le cose più semplici.
Tutto, però, aveva trovato un equilibrio: senza spegnere la luna, come ha sempre detto Max, che aveva (e ha) un sorriso malgrado tutto. Proprio come gli ha insegnato Bruno, poi la dipartita improvvisa per un’ernia. La situazione si è complicata e non c’è stato davvero più nulla da fare. Resta il vuoto, incolmabile, ma anche tanta vita insieme. Al punto che tra loro c’è anche un intreccio di parentela incredibile.
La rivelazione arriva da Max Cavallari che, a Verissimo, prova a rielaborare il lutto: Silvia Toffanin gli mette a disposizione una sedia per parlare. Come fosse uno di quegli speaker’s corner all’americana: l’attore si sfoga e ammette “Quando stavo male, Bruno mi faceva ridere. Anche senza parlare, e questo mi manca”.
Poi scoppia in un pianto liberatorio prima di rivelare quel che nessuno si aspettava: “La mia prima figlia è sua nipote, siamo legati a doppio filo e lui se n’è andato senza avvisare. Ha voluto improvvisare come al solito, come un cretino”. Ironia mista a dolore. Forse questa è la più grande lezione che Bruno lascia. Arena, come il suo cognome, si chiamerà una parte importante dello Zelig a Milano. “Farà ridere i grandi lassù”, ha chiosato Max Cavallari. Forse non è poi così sbagliato.
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