Importante decisione della Cassazione in fatto di multe: i sanzionati restano con un palmo di naso. Tutto è nato da un ricorso contro un dispositivo gestito in Sardegna da una società privata.
E’ di queste ore una svolta in tema di multe. La decisione viene direttamente dalla Corte di Cassazione, esattamente dalla Seconda sezione civile. Ma, andiamo con ordine. Le multe ricavate dagli autovelox sono tre le misure fiscali più odiate dai cittadini italiani.
Spesso questi dispositivi vengono collocati a tradimento dietro qualche curva o una siepe. Sebbene sia segnalata la loro presenza, in questi anni è nato un dibattito circa l’utilizzo dei misuratori di velocità, troppo spesso piazzati con l’intenzione di fare cassa a tutto beneficio dell’erario pubblico, piuttosto che ai fini della sicurezza stradale.
Il caso degli appalti del servizio di autovelox e il ricorso di una multata
Ha costituito materia di giudizio da parte dei giudici della Cassazione il fenomeno della concessione ai privati del servizio di autovelox. Pratica, questa, sempre più diffusa dai Comuni con la finalità di delegare a ditte private il rilevamento della velocità. Con riferimento a ciò un caso di ricorso ha avuto luogo in provincia di Oristano nel 2008, quando una donna si è opposta alla multa accertata dal servizio di polizia urbana del Comune di Arborea, in base a quanto segnalato nel giugno dello stesso anno dall’autovelox Traffiphot. L’automobilista sanzionata aveva puntato il dito contro il fatto che la violazione “non era stata accertata dagli agenti della Polizia Municipale, ma da addetti di società privata, cointeressata ai proventi delle sanzioni”. Ancora si sottolineava che la società privata potesse essere interessata ai introiti in quanto “retribuita con un corrispettivo variabile del 29,10% collegato”. Secondo il legale della signora ricorrente “la corresponsione di una percentuale degli introiti” avrebbe “trasformato il contratto di appalto in un contratto aleatorio in quanto il corrispettivo sarebbe stato condizionato da un evento, l’accertamento della sanzione, e non da un servizio effettivamente svolto, con conseguente indeterminatezza dell’oggetto”. In merito il giudice di Terralba aveva annullato il verbale, probabilmente pure in considerazione del fatto che “la circostanza che la ditta fornitrice provvedesse anche alla taratura degli apparecchi avrebbe determinato un grave conflitto di interessi”. La società, secondo quanto si apprende, avrebbe potuto essere “interessata ad attestare il regolare funzionamento degli apparecchi”. Tuttavia, la prima sentenza è stata poi ribaltata da quella del Tribunale di Oristano, che nel 2018 respinge il ricorso.
La sentenza finale dei giudici di Cassazione
Il collegio togato ha stabilito che “la validità della costituzione del rapporto tra l’ente locale ed il privato ma non ha incidenza sull’accertamento dei presupposti di fatto dell’accertamento eseguito tramite” i dispositivi a noleggio. In altre parole se le violazioni vengono accertare dal personale degli enti pubblici a cui sono destinati i proventi delle sanzioni, “ non collide con il noleggio delle apparecchiature di rilevamento della velocità” sia pure da parte di soggetti privati.
Un elemento di garanzia sarebbe assicurato dal meccanismo di raccolta di tutti i dati in un server, come previsto dal contratto di installazione, “al fine di essere validati dal personale della polizia locale”. Il controllo ‘ex post’ degli agenti municipali sarebbe dunque determinante. Per quanto concerne invece la taratura degli autovelox, nel contratto era contemplata la piena disponibilità in capo al Comune e “la diretta gestione e sorveglianza dei dispositivi”. Adesso la signora multata dovrà versare mille euro di spese legali al Comune di Arborea.