Alle 14, ora italiana, Vladimir Putin annuncia ufficialmente l’annessione delle quattro province dell’Ucraina Donetsk, Lugansk, Kherson e Zaporizhzhia alla Federazione russa. Questa decisione di Mosca porta la guerra in Ucraina a un livello di escalation ancor più grave e le conseguenze potrebbero essere imprevedibili.
Al quotidiano online Free.it l’analisi di Francesco Strazzari, docente di Relazioni Internazionali alla S. Anna di Pisa.
Mentre la Russia annette quattro province, si apre anche un altro fronte di guerra, quello attorno ai gasdotti Nord Stream 1 e 2. E’ un vero e proprio giallo internazionale quello che ruota attorno al sabotaggio, avvenuto in un tratto di mare tra i più controllati al mondo. Eppure, nessuno sa cosa sia accaduto. In queste ore Russia e Usa si rimpallano la responsabilità mentre l’Europa si accinge a vivere un aggravamento della crisi energetica.
Putin ieri ha annunciato l’annessione delle quattro province. Questo a che tipo di scenario ci porta?
“È un passo verso un punto di non ritorno. Inglobare sotto l’amministrazione russa territori occupati significa che ogni attacco ucraino verrà interpretata come un’iniziativa che implica una risposta di difesa. Questi 4 oblast a questo punto vengono sottratti al concetto di offensiva e diventano parte della Russia. Dal punto di vista della dottrina miliare, significa che sono coperti da tutta la gamma di armi e di risposte incluso l’ombrello nucleare. Questo è un passaggio che segna una escalation. Ci spinge verso una situazione in cui le parti sul campo stanno incrementando il livello di tensione. E nello stesso tempo si restringono gli spazi negoziali”.
Ovviamente questi referendum non sono riconosciuti dalla comunità internazionale. Adesso i vari Paesi come potranno reagire a questa mossa di Putin?
“Cominciamo col dire che nemmeno la Cina riconosce questa annessione. Non ha riconosciuto nemmeno l’annessione della Crimea nel 2014, tanto meno lo farà ora con queste province. Che, tra l’altro, la Russia controlla solo in parte. Non ci sarà riconoscimento non solo da parte del blocco occidentale, ma nemmeno da una larga parte della comunità internazionale. Ivi inclusi i Paesi dell’ex Unione sovietica, che vendono in questo un pericolosissimo precedente. Il problema è che siamo di fronte a un’annessione che non ha precedenti nella storia europea, se non nella strada che ha portato alla Seconda guerra mondiale.
Nessuno ha interesse a sancire un precedente di questo tipo in cui, con la forza, infrangendo il principio di un intervento iscritto nella carta delle Nazioni Unite, uno non solo può invadere il vicino, ma anche inglobarlo sotto la propria sovranità. La Russia rimarrà piuttosto isolata. Penso che quest’annessione la riconosceranno solo gli Stati che o non possono fare altro, perché sono sotto il ricatto russo. Oppure, i Paesi che da sempre per varie ragioni, hanno sempre appoggiato esplicitamente la Russia. Penso alla Corea del Nord, all’Eritrea, al Venezuela. Ma si tratta di Paesi piuttosto marginali”.
Dal punto di vista economico, per l’Occidente quali sono le conseguenze di questa situazione?
“I territori che la Russia ha inglobato sono ricchi di attività mineraria, carbone, acciaio, industria chimica per la produzione di fertilizzanti. C’è poca attività agricola se non nella zona di Kherson che è molto ricca d’acqua. La Russia sta depredando questi territori.
Sta addirittura applicando un principio di coscrizione, cosa che la legge internazionale vieta. Quindi la Russia sta oltrepassando tutta una serie di leggi del quadro normativo internazionale. Dal punto di vista dell’economia, questo aggiunge elemento di incertezza, ma non sposta il flusso delle risorse”.
Adesso c’è la vicenda del Nord Stream, che non si capisce chi ha danneggiato. Possiamo dire che è un altro fronte di guerra tra Occidente e Russia?
“Sì, è un fronte molto delicato. Anche perché in questo caso al flusso di risorse si accompagnano aspettative di tipo finanziario. E ha delle ripercussioni sul mercato del costo del gas in Europa, ma al tempo stesso anche sui progetti rivali, in particolari su quelli dell’asse Norvegia-Polonia. La messa fuori uso di questo gasdotto mette al centro la Polonia per l’approvvigionamento. Il punto centrale di questa vicenda è che ora gli Stati Uniti si trovano fortemente esposti, per le dichiarazioni che il presidente Biden aveva fatto all’inizio del conflitto. Aveva detto: “State sicuri che il gasdotto lo fermeremo in ogni modo”. Questo ha creato un incentivo per chiunque ad agire contro il gasdotto.
In questo momento, i primi imputati potrebbero essere, quindi, proprio gli Usa, ma sarebbe talmente scontato che vien da pensare che sia una trappola. In questo momento chiunque potrebbe avere interesse a poter colpire il gasdotto, Russia inclusa. Proprio perché gli Usa restano i principali sospetti. Quindi, è veramente complicato ora attribuire una responsabilità. Serviranno due settimane perché i tubi si svuotino di gas e ora è impossibile avvicinarsi ai tubi perché il metano esplode”.
Quindi?
“Quindi, attendiamoci un paio di settimane di illazione e dopo di che si vedrà. Però è abbastanza significativo che in un braccio di mare che è fortemente monitorato, nessuno abbia prodotto prove. Nessuno ha capito cosa stesse succedendo. In quel tratto di mar Baltico ci sono droni sottomarini, sottomarini, radar, e nessuno ci ha fatto vedere delle immagini. Sicuramente esistono delle prove ma in questo momento nessuno sa niente, nemmeno i russi probabilmente”.
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