All’indomani delle elezioni, i risultati sono chiari. Giorgia Meloni ha trascinato alla vittoria la coalizione di centrodestra. Indietro resta Forza Italia, ma soprattutto la Lega che non raggiunge neanche il 10%. Molto male il Pd, tiene bene, invece, il M5S.
Cosa ci dicono questi risultati? Al quotidiano online Free.it Edoardo Bressanelli, professore Associato di Scienze politiche presso la Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa. E ricercatore al King’s College di Londra.
Il centrodestra ha vinto le elezioni. A vincere, però, come da pronostici, è soprattutto Giorgia Meloni che porta Fratelli d’Italia a oltre il 26%. Va male la Lega, che crolla al 9%. Matteo Salvini non ha voluto parlare ed è chiuso da ieri notte suo ufficio di via Bellerio. Forza Italia resta stabile all’8%. La coalizione di centrosinistra non arriva al 27%. La sconfitta era attesa ma il tonfo è più pesante di quanto ci si aspettasse. Il Pd non arriva al 20%. Ora, nei partiti, è tempo di resa dei conti. A Free.it Edoardo Bressanelli, professore Associato di Scienze politiche presso la Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa. E ricercatore al King’s College di Londra.
Alla luce dei risultati elettorali, qual è il suo commento?
“Giorgia Meloni, come da previsioni, ha vinto in una situazione di debolezza del suo alleato storico di questi anni, cioè la Lega. Il centrodestra ha vinto ma, in alcune sue componenti, dovrà capire qual è il futuro. Giorgia Meloni stessa, nel suo discorso della vittoria, ha parlato in maniera molto forte di responsabilità. Ha messo particolare accento su questa parola, bizzarra in bocca alla nuova leader del centrodestra. La responsabilità è spesso associata con l’Ue, con Draghi, con i governi che implementano le politiche comunitarie. Vedremo se a questo primo riscontro di responsabilità, faranno seguito politiche conseguenti”.
La lega ha avuto un tracollo, come anche lei sottolineava. Questo creerà problemi di governabilità?
“La governabilità secondo me non è in pericolo, almeno nell’immediato. Perché formerà un governo e assegnare incarichi di potere è un forte collante. Il ruolo di Salvini nel governo non può essere messo in discussione. Quella che, invece, verrà certamente messa in discussione in queste ore è la sua leadership nella Lega stessa. Con questo risultato, ora i governatori delle regioni del nord, Zaia, Fedriga, vorranno metterlo da parte. E c’erano stati segnali già precedentemente. Durante la pandemia, già avevano raggiunto picchi di popolarità più alti di Salvini”.
Dall’Europa, dagli altri Paesi, come si guarda alla vittoria della Meloni?
“Da una parte, come già detto, la parola chiave del discorso di Giorgia Meloni è stata responsabilità. Ed è una parola che all’Europa piace molto. Essere responsabili vuol dire essere fedeli agli impegni presi, fedeli alla disciplina di bilancio. D’altra parte, in Fdi ci sono delle componenti più radicali che certamente vorranno alzare la voce. Ecco, la capacità di gestire la partita europea e contemporaneamente quella all’interno del suo partito, metterà sicuramente alla prova Giorgia Meloni”.
Passando all’altra coalizione, spicca il risultato catastrofico del Pd. Enrico Letta deve lasciare la guida?
“Dare le dimissioni è una scelta importante che, però, in questo momento esporrebbe il partito a ulteriori problemi. Lo lascerebbe senza guida in un momento di grande transizione. E’ ovvio che al congresso si parlerà della leadership di Enrico Letta, del fatto che i 5S siano arrivati poco distanti e che, soprattutto al sud, in alcuni collegi abbiano superato in maniera consistente il Pd.
E’ evidente che la strategia di Enrico Letta è stata sconfessata in questa campagna elettorale. Però, ecco, lasciare il partito senza un’altra guida salda, contribuirebbe al tracollo”.
Qualcuno questa mattina diceva che il Pd non ha perso, si è perso. E’ d’accordo?
“Il Pd ha giocato una partita elettorale dimenticandosi di un fattore strutturale: le regole del gioco. La legge elettorale prevedeva che un terzo dei seggi venisse assegnato con l’uninominale secco. L’abbiamo visto nella partizione. I partiti che hanno avuto un riscontro percentuale molto più alto si trovano dietro a partiti che hanno avuto una percentuale più bassa. Non giocare con quelle regole significava perdere. Se poi il risultato alle urne è stato ancora peggiore, la sconfitta è di proporzioni molto grandi”.
Durante la campagna elettorale, il centrosinistra e il centro hanno puntato tutto sul pericolo del ritorno della destra estrema, dei nazionalismi. Però la gente ha votato lo stesso per Meloni. Vuol dire che il pericolo non lo hanno visto oppure non c’è?
“Probabilmente la risposta è duplice. Primo di tutto, la coalizione di centrodestra è già stata provata, anche se con leadership diverse e non meno radicali di quella di Giorgia Meloni. Pensiamo a Salvini. E con lui, tutto sommato il campanello d’allarme per la democrazia italiana non ha suonato. O forse ha sviluppato degli anticorpi. Probabilmente i cittadini hanno pensato a questo.
Che il pericolo democratico è stato utilizzato molto spesso nella seconda repubblica. Pensiamo ai tempi di Silvio Berlusconi, ai tempi di Salvini per poi arrivare fino a Giorgia Meloni. Oggettivamente, in questi anni la democrazia italiana ha dimostrato di essere in grado di resistere bene. Forse, in questo gridare al nuovo fascismo, si è sottostimato il fatto che la democrazia italiana ha degli anticorpi che si sono dimostrati solidi. Almeno finora. E non dimentichiamoci anche il ruolo dell’Ue nella difesa dello stato di diritto”.
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