Mancano tre giorni al voto di domenica 25 settembre. Tra domani e venerdì le diverse forze politiche chiuderanno la loro campagna elettorale in piazza. I toni restano accesi, in queste ultime ore, ma uno dei temi su cui molti hanno battuto tanto è l’Europa. E la posizione che il governo dovrà avere nella Ue. Si è parlato di Pnrr, di rinegoziare la posizione dell’Italia su alcune questioni. Su altre, invece, le forze politiche si sono trovate d’accordo. Ma quali sono davvero le cose che si potrebbero o non potrebbero fare a Bruxelles? A Free.it Pier Virgilio Dastoli, Presidente del Consiglio Italiano del Movimento Europeo (CIME).
Rush finale per i leader dei partiti, in questa insolita campagna elettorale estiva. Durante questo mese e mezzo, dalla caduta del governo Draghi a oggi, si è parlato molto anche di Europa, con accuse incrociate tra i partiti. Bruxelles, dal canto suo, seguirà con molta attenzione il voto di domenica, perché dall’esito potrebbe scaturire anche un nuovo equilibrio all’interno dell’Ue. A Free.it Pier Virgilio Dastoli, Presidente del Consiglio Italiano del Movimento Europeo (CIME).
E’ preoccupato della posizione che un eventuale governo vincente avrà nei confronti dell’Europa?
“Non sono preoccupato, sono attento. Intanto vediamo come vanno le elezioni, dopo di che è evidente che alcune cose che sono state dette durante la campagna elettorale non potranno davvero essere applicate. Faccio un primo esempio. E’ esclusa la possibilità che si possa rinegoziare il Pnrr, frutto di accordo tra governi, c’è un regolamento. L’idea di riaprire quel capitolo è propaganda elettorale. Se si dovesse aprire questa possibilità, i così detti Paesi frugali rinegozierebbero in peggio l’accordo. L’Italia ne sarebbe molto molto danneggiata.
Si tratterà poi di vedere il governo, qualunque sarà, come si comporterà sulle altre questioni fondamentali. Nella coalizione di centrodestra, i tre partiti hanno posizioni diverse. Per esempio, sull’Ungheria i deputati di Fi hanno votato a favore della risoluzione, Lega e Fdi hanno votato contro. Su questo punto la coalizione si è spaccata. Anche sulle sanzioni alle Russia hanno posizione diverse. O meglio, FI e Fdi sono favorevoli, Salvini contro o ha opposto una serie di distinguo”.
Quali sono i rischi concreti?
“Le differenti visioni sull’Europa creeranno dei problemi, soprattutto quando ci saranno dei ministri appartenenti ai tre partiti della coalizione che dovranno andare a Bruxelles per negoziare. E se avranno posizioni diverse, il ruolo dell’Italia rischierà di diventare marginale nel contesto europeo. C’è anche da dire che, nell’ipotesi in cui Giorgia Meloni sarà presidente del consiglio e si troverà al tavolo con altri 26, se lei volesse allearsi con Ungheria o Polonia, questo sarebbe un danno per l’Italia. Ma si renderebbe conto da sola che sarebbe un danno e che certe cose che ha detto non sono applicabili”.
In Europa c’è attenzione al voto del 25 settembre? Ci sono leader preoccupati?
“Ci sono alcuni temi su cui bisognerà prendere delle decisioni molto rapidamente. Se venisse a mancare il sostegno dell’Italia, su alcune questioni diventerebbe tutto più difficile. Ci sono poi, questioni come quella del tetto al prezzo del gas, dove invece la Meloni è favorevole e il governo italiano sosterrà la linea Draghi.
Poi, ancora, c’è la tematica che dovrà essere affrontata il prossimo anno dalla Commissione. E cioè, le proposte di modifica del patto di stabilità e della governance economica. Se l’Italia volesse andare al tavolo del negoziato per rendere non solo flessibile ma per indebolire le regole, il negoziato sarebbe molto difficile. Altri Paesi non potrebbero accettarlo. Inoltre, c’è da sottolineare una cosa importante. Quando il Pnrr scadrà nel 2026 abbiamo bisogno di un altro Pnrr ancora più forte.
L’interesse dell’Italia sarebbe difendere un bilancio europeo di tipo federale. Se noi ci siederemo al tavolo del negoziato per difendere apparanti interessi nazionali, ci daremmo la zappa sui piedi. Oltre al fatto che il Pnrr è fondato sull’impegno dei governi a rimborsare il debito europeo. E questa è una battaglia importante per sostituire i contributi nazionali con risorse proprio. Significa avere una politica fiscale europea di tipo federale. E questo contrasta con l’idea di qualcuno che vorrebbe una confederazione”.
Cosa comporterebbe spingere per una confederazione europea?
“Sarebbe un danno per l’Italia. Noi, su alcune politiche, abbiamo interesse ad avere più Europa, non meno Europa. E quindi, ci accorgeremmo abbastanza rapidamente che prendere una posizione di sovranità assoluta va esattamente in senso contrario agli interessi del nostro Paese”.
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