L’ultima tragedia avvenuta nelle Marche conferma la necessità di agire con la massima urgenza per mettere in sicurezza il territorio italiano. E si scoprono stanziamenti economici e lavori bloccati per la sistemazione degli argini del Misa.
Alluvioni e morti negli ultimi anni sembrano essere stati insufficienti a far comprendere l’antifona. In tutto questo non gioca un ruolo decisivo solo l’incuria, ma anche la burocrazia e il totem dell’impatto ambientale.
Andando nel concreto, per quanto riguarda l’esondazione del Misa, si scopre che quasi 40 anni fa sono stati stanziati miliardi di vecchio conio per la sua messa in sicurezza. Il denaro proveniva dal Fondo per gli investimenti e l’occupazione (FIO). Qualcosa non è andato però per il verso giusto. Ecco cosa.
Misa: lo stanziamento del denaro e la paralisi dei lavori
Dunque i soldi necessari per sistemare finalmente gli argini del Misa, erano stati messi. Si sarebbe così posta la parola fine ai capricci di un corso d’acqua abbastanza imprevedibile. Solo nel secolo scorso il Misa è stato responsabile di ben 13 alluvioni. Le ultime 3 nel breve arco di 16 anni. Si è dunque studiata la creazione di aree di laminazione per impedire che le acque del fiume uscissero dagli argini. Al riguardo interviene il segretario generale dell’Autorità del bacino del Tevere, Erasmo D’Angelis. L’uomo era al tempo dell’alluvione di Senigallia (2014) coordinatore della struttura di missione Italia sicura. “Si tratta di milioni di metri cubi d’acqua” – ha dichiarato al Corriere della Sera. Ora ci si chiede che fine abbiano fatto i 45 milioni di euro stanziati per la costruzione della cassa di espansione per il Misa.
“Immensi contenitori, vasche enormi – continua De Angelis – che servono a immagazzinare l’acqua per frenarla. Il governo Conte ha cancellato Italia sicura e quel progetto, ma analoghe iniziative già finanziate a Genova e Firenze sono andate avanti” – aggiunge il funzionario. Che poi precisa come l’interruzione dell’iniziativa si debba ad un fatto burocratico. “Per questioni di espropri la procedura si è bloccata ancora per un anno e non nel febbraio scorso, dopo le pressioni dei sindaci del territorio – prosegue – c’è stata la consegna dei lavori, ma ancora non è partito nulla. Sono state sistemate solo alcune arginature”.
I fallimenti del passato tra cattiva burocrazia e ossessione ambientale
Si è già accennato al progetto del 1986 che avrebbe dovuto sistemare gli argini del fiume, ma alla fine non se n’è fatto nulla. I lavori vengono affossanti per via della previsione di un enorme cassone di cemento armato, bocciato dal punto di vista tecnico e ambientale. Ma non si realizzano nemmeno le due casse di espansione previste in seguito con l’impiego di altri materiali come la terra battuta. E poi ancora nel 2009, quando la Regione avvia gare per i lavori “urgenti e prioritari”. Il risultato è che si utilizzano solo pochi soldi rispetto a quelli messi a disposizione, dando avvio alla realizzazione di minimi interventi.
Episodi di mala-burocrazia e il tempo perduto fanno scivolare tutto fino al 2018. Quindi i primi bandi e gli appalti assegnati solo per un tratto di fiume. La causa sono le valutazioni di impatto ambientale. Infine solo dopo 3 anni arriva lo stanziamento di 900 mila euro per il collocamento delle vasche di espansione. Tutto troppo tardi: la tragedia che si abbatte nei giorni scorsi causa un bilancio pesantissimo: 11 morti e 2 dispersi. In definitiva si è potuto agire solo dal punto di vista della bonifica del letto del fiume e del dragaggio per rimuovere i detriti dell’ultima alluvione del 2014. A peggiorare il quadro anche la pulizia dei terreni colpiti dalla siccità di questa estate. Questi sono stati infatti resi incapaci di opporre resistenza alla furia dell’acqua.