Non ha mai fine la vicenda di Liliana Resinovich, la donna scomparsa da Trieste il 14 dicembre 2021 e il cui corpo è stato ritrovato il 5 gennaio successivo in un boschetto a meno di un chilometro da casa. Adesso a tornare alla carica è il fratello Sergio. E il motivo, se fosse confermato, cambierebbe tutta la storia.
Sergio Resinovich ha parlato attraverso il suo legale, Nicodemo Gentile, e la psicologa consulente, Gabriella Marano.
I due professionisti, attraverso una nota, hanno ribadito quanto sostengono da tempo. Ma, a differenza del passato, Gentile e Marano hanno passato al setaccio le 50 pagine della consulenza della Procura redatta da Fulio Costantinides e da Fabio Cavalli. Un lavoro che ha portato a una conclusione che se confermata cambierebbe notevolmente la tesi princiapale.
Il legale sarebbe riuscito a smontare la tesi dell’asfissia, secondo la quale la donna si sarebbe provocata da sola, due o tre giorni prima del ritrovamento. Senza spiegare dove avrebbe trascorso il periodo dal 14 dicembre ai primi di gennaio.
Liliana Resinovich, torna alla carica il fratello per il quale la verità sulla morte della sorella non è ancora emersa
La teoria perseguita dal fratello è che Liliana è stata uccisa da una o più persone e non si è certo suicidata. Peraltro, nella arzigogolata maniera di chiudersi la testa in due sacchetti di plastica e di “indossare” due grandi sacchi dall’alto e dal basso richiudendo completamente il corpo.
La teoria di Gentile-Marano è la seguente: la mattina del 14 dicembre, caricata la lavatrice, fatta la colazione e assunti gli integratori, Liliana sarebbe stata “intercettata, accompagnata o comunque sorpresa da una visita da parte di qualcuno che ben conosceva“. Sarebbe nata un’accesa discussione, “Liliana sarebbe stata percossa e strattonata“, forse ha subìto un’occlusione delle vie respiratorie, “magari con una sciarpa, un cappello o un giubbotto, che ha determinato uno scompenso cardiaco“.
Questo potrebbe essere stato favorito dai problemi di cuore che, sia pur asintomatici, sono stati riscontrati dal medico legale della Procura su Liliana. Il fatto poi che la donna fosse minuta e pesasse 50 chili (e le percosse) giustificherebbe i segni traumatici riscontrati sul corpo. Per l’esattezza: la palpebra destra tumefatta, il sangue nella radice destra e il trauma nella parte destra della lingua, un colpo sulla tempia sinistra e un segno sul seno, probabilmente un livido, e un piccolo taglio sulle dita di un piede.
“Oltre ad alcune strane fratture che, allo stato, non c’è consentito sindacare, ma che saranno oggetto di valutazioni nel momento in cui si potranno acquisire in modo pieno tutti gli atti del fascicolo, comprese le immagini della tac“. In questo ambito Gentile e Marano hanno annunciato di aver nominato “un ulteriore” medico legale, il prof. Vittorio Fineschi, titolare di Medicina Legale dell’Università di Roma.
Ma legale e consulente si spingono anche sull’aspetto psicologico, e riportano il parere del medico di famiglia che aveva in cura Liliana, che ha definito il suo profilo “tranquillo e indenne da turbamenti e squilibri che avrebbero potuto comportare l’assunzione di farmaci“. I rappresentanti di Sergio Resinovich hanno una risposta anche al quesito sul luogo dove sia stata Liliana: dopo la colluttazione “gli aggressori” hanno dovuto ricomporre Liliana, rivestendola “e questo spiega l’orologio di colore rosa sul polso sinistro di Liliana con la corona rivolta al contrario, nel verso sbagliato“, mentre Liliana lo portava al braccio destro. Ne discendono, in un “goffo tentativo di manipolazione della scena“, le chiavi di riserva, l’anomalo contenuto della borsa, la probabile assenza di calzini, e quel cordino definito dal consulente della Procura “lasso” oltre “all’illogico utilizzo dei sacchi dell’immondizia“.
Il delitto potrebbe essere “di prossimità“, maturato “nel mondo delle più ampie relazioni di Liliana“. Non si esclude, inoltre, “la morte come conseguenza di altro reato, ovvero un omicidio preterintenzionale, che poi ha indotto inevitabilmente l’aggressore, o gli aggressori, a dover occultare il cadavere“, forse in un “gelido anfratto, sotterraneo” del Carso.