Ancora un femminicidio. Un altro nome di donna uccisa da un uomo. È quello di Alessandra Matteuzzi, presa a martellate dall’ex compagno, Giovanni Padovani. La aspettava sotto casa e l’ha colpita ripetutamente, senza neanche scappare via dal luogo del delitto. Alessandra era terrorizzata da lui, la perseguitava e lei il 29 luglio scorso lo ha denunciato. Ma le autorità si sono limitate ad aprire un fascicolo e nulla più. Come si possono evitare situazioni come queste? Al quotidiano online Free.it Elena Biaggioni, avvocata del centro antiviolenza di Trento, vice presidente di D.i.Re – Donne in Rete contro la violenza.
La ministra della Giustizia Marta Carabia ha chiesto agli uffici dell’Ispettorato di svolgere “accertamenti preliminari. Formulando, all’esito, valutazioni e proposte” sul femminicidio di Alessandra Matteuzzi. Nonostante la denuncia e un sollecito ai carabinieri, non è stato preso alcun provvedimento contro Giovanni Padovani. E Alessandra aveva molta paura. Sono 77 le donne uccise per mano di un uomo dall’inizio del 2022. Al quotidiano online Free.it Elena Biaggioni, avvocata del centro antiviolenza di Trento, vice presidente di D.i.Re – Donne in Rete contro la violenza.
Cosa si può fare per far sì che le istituzioni entrino in azione quando c’è una denuncia?
“Bella domanda. Diciamo che nel caso di Alessandra Matteuzzi, il fascicolo era stato aperto subito. Sono due le cose importanti da chiedere e che devono essere fatte. La prima è prendere sul serio queste situazioni, la seconda è imparare a riconoscere che sono potenzialmente pericolose, sempre. E’ fondamentale fare un’attenta valutazione del rischio, perché gli strumenti ci sono. Bisogna leggere l’insieme della vicenda, non è che basta aprire il fascicolo. Devono essere raccolti gli elementi. Bisogna sentire la donna, capire qual è la situazione, capire quanto è grande la sua paura, riconoscere che una situazione come questa può essere pericolosa.
Prima di tutto è essenziale una enorme expertise, cioè, bisogna sapere di cosa si sta parlando. Quel che manca è il riconoscere la pericolosità di queste situazioni. Ho letto le parole del procuratore secondo cui sembrava un normale caso di molestie via social. Ecco. E’ vero che in tantissime situazioni ci sono forme di stalking che non arrivano al contatto fisico, ma questo non significa che non possano sfociare in violenza. Quindi, da quello che si legge, c’era molto di più. Questo soggetto andava in casa a spaccarle la luce, i piatti, vuol dire disponibilità ad entrare in quell’abitazione.
Probabilmente la difficoltà più grande è riconoscere che queste situazioni sono pericolose. Per fortuna non tutte sfociano in femminicidio, ma bisogna sempre dar per scontato che possono degenerare, può esserci una escalation. E questa valutazione del rischio deve essere fatta subito. In questo caso, penso che le autorità competenti abbiano sottovalutato il caso, solo perché non c’era violenza fisica. Spesso si fa questo errore, come se le altre forme di violenza fossero meno importanti. Non è così”.
In alcuni casi, vengono segnalate conseguenze gravi anche quando l’uomo ha già un provvedimento di allontanamento…
“Anche un detenuto dal carcere può evadere, questo non vuol dire che la misura dell’incarcerazione non sia idonea. Attenzione a non dare un messaggio di impossibilità a risolvere il problema. Non si può pensare che niente di quello che si fa funzioni. Tendenzialmente, l’ordine di allontanamento funziona. Uno dei limiti è il fatto che in caso di violazione, le conseguenze tendono a essere un po’ lente.
Femminicidio, l’avvocata Elena Biaggioni a Free.it “Caso Matteuzzi sottovalutato. Fondamentale riconoscere i rischi e la procura deve…
Si figuri che solo con l’attivazione del codice rosso la violazione dell’ordine di allontanamento è diventato un reato. Prima non era un reato e spesso succedeva che neanche lo si considerava. Oggi la violazione è comunicata molto più di frequente alla procura. Ma mica sempre questo comporta della misura. E questo è molto grave”.
Perché non viene usato di più il braccialetto elettronico?
“Un po’ perché ce ne sono pochi. Un po’ perché viene considerata una misura specifica e ulteriore rispetto alle misure normali. Quindi, si fa una valutazione che dice, in prima battuta, è sufficiente l’ordine di allontanamento? Sono sufficienti gli arresti domiciliari? Si tratta di una valutazione che fa il giudice in base alla situazione, alla pericolosità, alla prognosi. Solo successivamente, in caso di riconoscimento di una pericolosità concreta, viene aggiunto il braccialetto elettronico. E’ più oneroso per l’indagato, perché è una limitazione della possibilità di movimento, e comporta anche un’attivazione da parte della donna, che deve tenere sempre con sé il dispositivo.
Va detto che, per mia esperienza, le donne che hanno avuto l’applicazione del braccialetto elettronico si sentono molto più sicure. Senza braccialetto può capitare che la donna veda l’uomo vicino la sua casa, chiama le autorità. Queste chiedono: è ancora lì? Lo vede? Se la risposta è no, quelle dicono: ah ok, allora faccia solo una segnalazione. Con il braccialetto, invece, la posizione dell’indagato è segnata e le autorità intervengono subito. Funziona molta di più. Purtroppo, non sono disponibili per tutti i casi di violenza e non siamo ancora attrezzati per averne per ogni caso”.
Secondo lei, le donne denunciano di più o di meno?
“Per quanto riguarda i dati dei centri antiviolenza, siamo costanti nei numeri. Tra il 25 e il 39% delle donne che si rivolgono al centro poi denunciano. Secondo me c’è stato un aumento delle denunce, o quanto meno della propensione alla denuncia. Ma a me piace ricordare che non è l’unico mezzo per uscire da una situazione di violenza. Ripeto, delle donne che si rivolgono al centro antiviolenza, solo il 25-30% denuncia. È una scelta, è un’azione che la donna deve fare quando è pronta e consapevole. Dire, denuncia denuncia denuncia e poi nulla succede è un problema. Può essere assolutamente controproducente”.