Giallo delle casseforti, restituite dal fiume in secca | Le indagini portano a una rivelazione sconvolgente

Un giallo viene “a galla” dal fiume in secca, delle casseforti sono emerse in superficie e hanno lasciato tutti di stucco. Ma chi aveva nascosto quel tesoro in acqua e perché. Si fa strada un’ipotesi sconvolgente

La siccità e il caldo degli ultimi mesi hanno prosciugato torrenti, fiumi e laghi lasciando il Paese, da nord a sud, in uno stato di emergenza senza precedenti.

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Giallo delle casseforti, emerse dal fiume in secca dopo 40 anni (Ansa)

La mancanza di piogge e le temperature troppo torride hanno essiccato i fiumi più importanti d’Italia ed è proprio in uno di questi che alcune casseforti sono emerse in superficie. Più che un mistero è un vero e proprio giallo: chi ha nascosto quel tesoro nei fondali? Gli inquirenti che stanno indagando sul caso avanzano una prima ipotesi.

Giallo delle casseforti, emerse dal fiume in secca. Chi aveva nascosto quel tesoro e perché

La scoperta è avvenuta pochi giorni fa quando un pescatore della zona ha notato i forzieri emersi dal fondo del fiume. L’uomo, con la passione per la pesca, aveva abbandonato da qualche tempo il suo hobby a causa del prosciugamento del fiume ma passeggiando su una riva del torrente nascosta dalla vegetazione ha scoperto la presenza delle casseforti.

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Giallo delle casseforti, emerse dall’acqua dopo 40 anni, ipotesi degli inquirenti (Ansa)

Il luogo è Vigonovo, e più precisamente in località Galta. Le casseforti sono state gettate nel vicino tratto dell’incompiuta idrovia Padova-Venezia. Ma da quanto tempo siano state abbandonate in quel luogo ancora non è chiaro.

Visto il brutto stato in cui sono state rinvenute, la ruggine e le incrostazioni sul metallo, gli investigatori presuppongono che la loro permanenza in acqua potrebbe risalire a trenta o forse anche quarant’anni fa. E si fa largo un’ipotesi su chi potrebbe aver nascosto quei bottini nel canale.

Dal cimitero delle macchine a quello delle casseforti, gli investigatori: “Potrebbero essere della Mala del Brenta”

I tempi combacerebbero alla perfezione con il periodo in cui i componenti della Mala del Brenta terrorizzavano quei territori. L’organizzazione criminale nata in Veneto negli anni settanta, all’epoca, era solita gettare le auto nello stesso fiume dove oggi sono riemerse le casseforti.

Ai tempi della Mala del Brenta, Vigonovo era diventata zona famosa perché dallo stesso fiume, Brenta-Cunetta che divideva il territorio in due, era emerso un vero e proprio cimitero di auto rubate. E anche in quel caso, per colpa della siccità e l’abbassamento delle acque del canale, le carcasse delle auto riaffiorarono in superficie. A scoprire il cimitero di auto un contadino della zona, che si rivolse al Comando dei dei vigili urbani per segnalare l’accaduto.

Il metodo usato dai malviventi per nascondere i forzieri

A distanza di quel fatto e vicino ai rottami d’auto, pochi giorni fa un altro cimitero, questa volta di forzieri. Per la precisione quattro sono state le casseforti pescate dall’acqua. Dopo essere state rubate e ripulite del loro tesoro, sono state gettate nel tratto di fiume.

Gli investigatori che stanno indagando sul giallo, ipotizzano che il metodo usato dai malviventi dopo il colpo era sempre lo stesso. Se non si potevano aprire sul posto le casseforti blindate venivano trasportate in qualche capannone isolato, dove ad attenderle c’erano gli strumenti necessari per aprirle. Una volta svuotate, le casseforti venivano abbandonate in luoghi ben nascosti, come nel caso del fiume. Ma di certo, i malviventi non avevano fatto i conti con madre natura.

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