,La tragedia della Marmolada ha avuto un grosso impatto emotivo su molti in Italia. Ma è stato un segnale d’allarme che studiosi e ricercatori ora devono approfondire. Non basteranno una settimana o due, il tempo in cui la notizia sarà in cima alle notizie di giornali e telegiornali. L’analisi del fenomeno richiederà molto tempo. E infatti, i ricercatori del *Gruppo di lavoro glaciologico-geofisico per le ricerche sulla Marmolada, sta continuando ad analizzare quel che è successo. Ecco cosa hanno raccontato a Free.it.
Nonostante siano passati ormai un po’ di giorni, gli studiosi continuano a interrogarsi sul crollo della Marmolada. Le ricostruzioni delle ore successive alla tragedia sono finite sui media, ma l’analisi a freddo della situazione ha richiesto agli esperti un tempo più lungo. E infatti, in questi giorni, il gruppo di lavoro glaciologico-geofisico per le ricerche sulla Marmolada sta divulgando il suo commento. Ecco cosa hanno raccontato.
Perché il ghiacciaio della Marmolada è così importante? E perché il suo crollo ha un significato così grande?
“Il ghiacciaio della Marmolada è il più grande ghiacciaio delle Dolomiti ed è un fondamentale termometro dei cambiamenti climatici. Soprattutto per la sua rapida risposta anche alle piccole variazioni di precipitazioni e temperatura. Il ghiacciaio è costantemente osservato sin dai primi anni del secolo scorso da parte del Comitato Glaciologico Italiano (CGI). Che oggi si occupa del rilevamento di circa 200 ghiacciai alpini. Il CGI, sin dalle sue origini che risalgono al 1895, ha contribuito alla raccolta di dati quantitativi, fotografie, rilievi. Progressivamente messi a disposizione della comunità scientifica e civile. Tutte le relazioni annuali redatte a partire dalla fine del secolo XIX sono accessibili e liberamente”.
Quanto si è ridotto questo ghiacciaio?
“Nel corso dell’ultimo secolo, il ghiacciaio della Marmolada si è ridotto di più del 70% in superficie e di oltre il 90% in volume. E, ad oggi, esso è grande circa un decimo rispetto a cento anni fa. Il ritiro ha mostrato una progressiva accelerazione, tanto che negli ultimi 40 anni la sola fronte centrale è arretrata di più di 600 m. Risalendo nel contempo in quota di circa 250 metri. La velocità di ritiro media è stata di 0,5 m tra 1902-1906. Di 5 m tra 1925-1938. Di 8,4 m tra 1951-1966. E di 10,3 m tra 1971-2015. Tra le principali cause vi è certamente l’aumento della temperatura. In particolare, nella zona della Marmolada, la temperatura minima invernale nel corso di 35 anni di osservazioni è aumentata di circa 1,5 gradi”.
Cosa è successo quel maledetto 3 luglio?
“Il crollo del 3 luglio ha interessato un lembo residuo del ghiacciaio centrale che occupa una piccola nicchia a ridosso della cresta sommitale, sotto Punta Rocca formando. Dove forma “ghiacciaio sospeso”. Il crollo, in fase di studio, si è verificato per una serie di condizioni il cui relativo peso ad oggi non è di facile determinazione. Tra le cause ci sono certamente la forte inclinazione del pendio roccioso. L’apertura di un grande crepaccio che ha separato il corpo glaciale in due unità e la presenza di discontinuità al fondo e sui lati. Hanno contribuito, ovviamente, l’aumento anomalo delle temperature che hanno influito sullo stato del ghiaccio.
E l’aumento della fusione con conseguente incremento della circolazione d’acqua all’interno del ghiaccio. Che può aver innescato una crescita dello stress sulle superfici di discontinuità. La fusione progressiva della fronte glaciale ha fatto mancare sostegno alla massa sospesa”.
C’è polemica sull’accesso al ghiacciaio. Dal vostro punto di vista di studiosi, era prevedibile che accadesse?
“Prima del crollo non si sono osservati dei segnali evidenti di un collasso imminente. Salvo rarissimi casi, nei ghiacciai, a differenza delle frane, non vi sono sistemi di allerta che misurano movimenti e deformazioni in tempo reale. I crepacci, che hanno avuto un ruolo fondamentale nel distacco, erano visibili già da diversi anni e di per sé fanno parte della normale dinamica glaciale”.
Ci dobbiamo aspettare altri crolli in futuro?
“Il distacco di seracchi è un fenomeno frequente nei ghiacciai e fa parte della normale dinamica glaciale. Più raro, invece, il caso di collassi in blocco come quello verificatosi in Marmolada. Il ritiro e il riscaldamento determinano un aumento della frequenza degli eventi e in generale un aumento della pericolosità delle fronti glaciali. L’osservazione annuale di molti ghiacciai è abbandonata proprio per l’incremento delle condizioni di rischio alle fronti glaciali.
Crollo Marmolada, Comitato Glaciologico a Free.it | “Ogni ghiacciaio va studiato singolarmente”
Tuttavia, non tutti i ghiacciai presentano le medesime condizioni di pericolo. Che, quindi, variano in funzione della temperatura, ma anche della morfologia, delle pendenze, delle dimensioni e di altri parametri. Ogni ghiacciaio va studiato singolarmente, individuando i rischi specifici che si sommano a quelli già insiti nella frequentazione dell’ambiente alpino”.
Eventi simili si sono già verificati in passato?
“Collassi di intere porzioni di ghiacciaio si sono registrati anche negli anni recenti in diverse aree delle Alpi. Solo un mese fa due alpinisti sono deceduti per il distacco di seracchi dal Grand Combin. Il ghiacciaio Planpicieux (Monte Bianco), sottoposto a monitoraggi dal 2020, aveva di fatto messo a rischio la sottostante Val Ferret. Un evento molto simile a quello della Marmolada si è verificato nel luglio del 1989. Sul ghiacciaio superiore di Coolidge (Monviso), fortunatamente senza vittime. L’analisi della cartografia storica della stessa Marmolada evidenzia la probabile presenza di analoghi distacchi che potrebbero essersi verificati sul finire dell’800”.
Qual è l’impatto del cambiamento climatico?
“Il ritiro dei ghiacciai è la manifestazione più evidente di un cambiamento climatico in atto. I cui effetti sono visibili anche in molti altri fenomeni che interessano il pianeta. Ciò che desta maggior preoccupazione è la progressiva accelerazione del ritiro glaciale, che impone una revisione degli scenari climatici più ottimistici predisposti dagli scienziati”.
Cosa possiamo fare?
“Nel lungo termine l’unica azione efficace è quella di trovare un accordo globale che consenta la riduzione dell’emissione di gas-serra per mitigare il riscaldamento terrestre. Nel breve-medio termine si può solamente ricorrere a strategie di adattamento che consentano la razionalizzazione delle risorse e una maggiore efficienza nella realizzazione delle infrastrutture, nei processi industriali e nei modelli sociali”.
Cosa ci dobbiamo aspettare?
“Le previsioni sono sempre un esercizio piuttosto difficile quando si parla di sistemi naturali. Se saranno confermati gli attuali andamenti anche nei prossimi anni, è molto probabile che il ghiacciaio della Marmolada scompaia prima del 2040. Se dovesse rallentare il processo di riduzione della massa glaciale, in ogni caso sarebbe improbabile che possa conservarsi oltre il 2060. Solo pochi anni fa i modelli prevedevano una vita del ghiacciaio per altri 100 o 200 anni. È evidente, quindi, come i modelli predittivi debbano essere costantemente aggiornati e migliorati. E come sia fondamentale garantire il monitoraggio dei ghiacciai con particolare attenzione alle loro variazioni di volume”.
*Del team di lavoro glaciologico-geofisico per le ricerche sulla Marmolada fanno parte Aldino Bondesan, Roberto Francese, geofisico dell’Università di Parma. Massimo Giorgi, Stefano Picotti.