Dopo la tragedia della Marmolada, l’attenzione è tutta sulla salute dei ghiacciai e delle montagne. Mentre si cercano ancora i dispersi, in molti si chiedono perché nessuno aveva dato l’allarme sulle condizioni di salute di quella parete di ghiaccio. E intanto, si discute anche delle regole che da oggi in poi, anche a causa del cambiamento climatico, devono cambiare. Ma quali sono i ghiacciai ancora a rischio? E come si può analizzarli correttamente? Al quotidiano online Free.it Roberto Francese, glaciologo e geologo dell’Università di Parma.
Gli esperti lo stanno dicendo in questi giorni: senza creare allarmismi, è necessario però fare attenzione a dove si decide di andare a fare escursioni e scalate. Serve un nuovo approccio, più maturo e consapevole con la montagna. Nello stesso tempo, servono indagini più accurate per capire quali sono i segnali di rischio e come interpretarli. Sul nostro arco alpino sono più di 800 i ghiacciai ma non esiste ancora una rete completa di monitoraggio. Al quotidiano online Free.it Roberto Francese, glaciologo e geologo dell’Università di Parma.
Quali sono, secondo lei, i ghiacciai cui bisogna fare attenzione oggi?
“Ce n’è uno che è già monitorano ed è quello che si trova in val Ferrè: il Planpincieux che si trova sul Comune di Courmayeur. Già nel 2020 aveva messo a rischio tutta la valle sottostante perché si muoveva quasi di 1 metro al giorno. In generale, è necessario fare attenzione a tutto il versante italiano del massiccio del Monte Bianco, che è a rischio crolli.
Ha chiuso un ghiacciaio in Valle D’Aosta il giorno dopo, perché presentava condizioni simile a quello della Marmolada. C’è la zona della Val d’Isère che presenta qualche problema e infatti ha deciso di chiudere la stagione estiva al 17 luglio, quindi più di un mese prima. Guardando alla Francia, il ghiacciaio di Tignes, non è in buono stato e infatti è stato chiuso già alla fine di giugno. C’è il ghiacciaio dell’Adamello, nella Val Camonica, la cui superficie è sempre meno esteso e più fragile”.
Quand’è che si manifesta il rischio?
“Si genera una condizione di rischio quando abbiamo una grande massa mosso sbalzata rispetto al fondo valle. Di solito queste condizioni si trovano alla fronte del ghiacciaio, cioè dove la lingua del ghiacciaio termina. Difficilmente si trova in alto, come nel caso della Marmolada. Solitamente, questi distacchi avvengono nella parte frontale”.
C’è una rete per monitorare la situazione?
“Al momento noi non abbiamo una rete completa di monitoraggi dei ghiacciai. Cioè, in grado di capire se ci sono dei fenomeni in atto, delle deformazioni tali da presentare condizioni di rischio. Solo quando ci sono evidenti segnali di sofferenza, allora il ghiacciaio viene messo sotto osservazione e viene monitorato con strumenti tecnici. Se ci sono pericoli imminenti, allora viene evacuata la zona sottostante, o vengono evacuati i rifugi. Ma normalmente non esiste questa rete di monitoraggio. Anche perché ce ne sono più di 800 sulle nostre Alpi.
Adesso sulla Marmolada, per esempio, hanno istallato dei sistemi per misurare gli spostamenti della parete. Per capire se si può staccare, in che tempi, in che modo. Il problema è che anche il tipo di monitoraggio che si fa non è come quello per le frane. Perché il ghiacciaio, nel momento in cui la temperatura si abbassa, si cementifica, perché l’acqua che normalmente scorre sotto si solidifica e blocca tutta la massa perché cambia la consistenza, evidentemente”.
Quindi, serve una nuova tipologia di allerta?
“Bisognerebbe innanzitutto conoscere e studiare molto meglio i ghiacciai e le dinamiche. Prima di capire se monitorare alcuni ambienti glaciali bisognerebbe studiali molto di più. Quello che si fa attualmente sui ghiacciai è prevalentemente legato a una osservazione di come si ritira la fronte e di come si abbassa la superficie. In realtà, non si sa bene all’interno della massa di ghiaccio quali sono le condizioni. Bisognerebbe fare altre indagini che, però, sono più complesse e più costose. È quello che noi geologi facciamo nell’ambito di progetti di ricerca in Antartide”.
Cioè?
“Si studiano le caratteristiche del ghiaccio in profondità. Quindi, prima di intervenire, è necessario capire quel singolo ghiaccio come si comporta, quali sono le sue caratteristiche e le sue dinamiche. Quanta acqua c’è al suo interno, com’è il contatto ghiaccio roccia. Bisognerebbe avere un’idea molto precisa e quest’idea c’è solo per pochissimi ghiacciai in Italia. O addirittura solo in alcuni tratti di questi pochi ghiacciai. Nel caso della Marmolada, la conoscenza dell’interfaccia ghiaccio-roccia era disponibile. Ma non si conoscevano le dinamiche di fusione del periodo estivo, soprattutto oggi considerato il cambiamento climatico”.
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