Così come il Covid, il vaiolo delle scimmie sta tenendo banco sulle prime pagine dei quotidiani. L’ultima novità è il “tipo” arrivato in Italia, una variante particolare del ceppo africano.
Man mano che passano i giorni, si scoprono sempre più notizie sul vaiolo delle scimmie, il nuovo virus che partito dall’Africa, sta imperversando in tutto il mondo. Grazie ad uno studio pubblicato in questi giorni, si viene ora a conoscenza che ne esistono varie tipologie.
I ricercatori dell’Istituto nazionale malattie infettive Lazzaro Spallanzani di Roma, hanno pubblicato sul numero di ieri di ‘Eurosurveillance‘, rivista scientifica del Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie (Ecdc), un articolo, dove hanno descritto le prime infezioni di Monkeypox virus osservate in Italia, dando contorni specifici a questo nuovo virus e spiegando con quale tipo siamo venuti a contatto nel nostro Paese. Intanto, chiariscono, “in persone di sesso maschile“. Inoltre hanno spiegato che i casi italiani di vaiolo delle scimmie “appartengono al clade West Africa“, il ceppo dell’Africa occidentale, considerato per fortuna più lieve.
Nello studio, fra le altre informazioni, è anche riportata la descrizione della sequenza genomica virale, completa di analisi bioinformatica e filogenetica, del primo Monkeypox virus italiano. Questa che era già stata registrata il 26 maggio sul sito GeneBank come “prima sequenza in Italia”, dimostrerebbe che il virus nei casi nel nostro Paese è dello stesso tipo di quello degli altri focolai registrati in Europa.
Un fatto molto importante, perché ci metterebbe al riparo dalla paura diffusa che il vaiolo delle scimmie, potesse avere lo stesso sviluppo avuto dal Covid. Ovvero diventare una pandemia mondiale.
Per fortuna non è così. Nello specifico lo studio si è concentrato sulla domanda che tutti si pomevano, ovvero la modalità di trasmissione. “Dall’analisi dei dati epidemiologici e clinici” relativi ai primi casi italiani di vaiolo delle scimmie, “e dallo studio dei vari campioni biologici in cui il virus è stato identificato, l’ipotesi della trasmissione per contatto diretto durante i rapporti sessuali è ritenuta plausibile“. Questo escluderebbe quindi la trasmissione per via aerea, molto più pericolosa.
L’articolo rappresenta, insieme ad altre due comunicazioni di ricercatori inglesi e portoghesi uscite sullo stesso numero di Eurosurveillance, “la prima descrizione dettagliata della malattia, nell’ambito del focolaio che sta interessando diversi Paesi europei e non“. Alla descrizione dei casi ha collaborato anche l’Unità di malattie infettive dell’ospedale San Donato di Arezzo.
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