I conti correnti ‘commissariati’ dai suoi consulenti. Le proprietà immobiliari che non gestiva. La ex compagna di cella che si era trasferita in casa sua e aveva allontanato anche le figlie Allegra e Alessandra Gucci. Viveva così Patrizia Reggiani da quando era uscita dal carcere, dove aveva scontato la condanna per l’omicidio del marito Maurizio Gucci.
L’ex compagna di cella, i professionisti che la aiutavano a gestire il suo ingente patrimonio, consulenti e prestanome che risultavano a capo delle sue società. Sono 8 le persone che, per la procura di Milano, avrebbero approfittato della fragilità di Patrizia Reggiani. L’obiettivo era l’ingente eredità lasciatale dalla madre Silvana Barbieri, deceduta nel 2019.
Circonvenzione di incapace, peculato, furto di oggetti preziosi, induzione indebita sono i reati contestati a vario titolo dal procuratore aggiunto Tiziana Siciliano e dal pm Michela Bordieri. Per i pm milanesi, Reggiani, condannata come mandante dell’omicidio del marito Maurizio Gucci, negli ultimi due anni sarebbe stata soggiogata e derubata di almeno 3 milioni di euro.
Da quanto hanno ricostruito le indagini condotte dalla Guardia di Finanza, gli indagati abusando prima “dello stato di infermità e deficienza psichica di Silvana Barbieri”, malata e ultanovantenne e poi “approfitatto dello stato di ridotta capacità” della figlia Patrizia e “delle sue fragilità e debolezze, sia fisiche che psichiche”. Tra gli indagati figurano Maurizio Giani, avvocato ed esecutore testamentario, Loredana Canò ex compagna di cella della Reggiani, l’amministratore di sostegno (poi sospeso) Daniele Pizzi e il broker che gestiva i conti di ‘Lady Gucci’, Marco Chiesa.
L’inchiesta è partita dalla decisione della giudice tutelare Ilaria Mazzei di disporre verifiche sui rendiconti che le venivano presentati riguardo alla gestione del patrimonio di Patrizia Reggiani. Anche Allegra Gucci, una delle due figlie di Reggiani, ha segnalato al giudice delle anomalie. Dal 2020 la Cassazione le aveva imposto di versare alla madre un vitalizio di 1,1 milioni di franchi l’anno e 35 milioni di arretrati.
Le indagini hanno portato alla luce molto altro. La vita di Patrizia Reggiani, da quando è uscita dal carcere, era sostanzialmente controllata dalla ex compagna di cella Loredana Canò. La donna, “dopo aver instaurato” con ‘Lady Gucci’ “un rapporto di amicizia” mentre entrambe erano a San Vittore, ha “conosolidato il suo legame con lei dopo la scarcerazione”.
“Nell’ottobre 2018, ancora prima della morte di Silvana Barbieri” l’ex compagna di cella Loredana “si introduce definitivamente nella vita della Reggiani, andando a vivere nella sua casa dove porta anche la figlia Sabrina. Lì acquisisce pieno controllo della gestione domestica”. Risponde al telefono, blocca i numeri di alcune persone amiche di Patrizia Reggiani. Impedisce “alle figlie Alessandra e Allegra di fare visita” alla madre o contattarla. In pratica, ‘Lady Gucci’ viene isolata. Non solo. cerca di mettere ‘Lady Gucci’ contro le figlie, protagoniste di un acceso scontro in Tribunale per il vitalizio.
Le sole persone che hanno libero accesso alla donna sono l‘avvocato Maurizio Giani, esecutore testamentario della madre, il suo difensore Daniele Pizzi, nominato amministratore di sostegno (poi sospeso) e il broker Marco Chiesa. Il patrimonio di Patrizia Reggiani, dopo la morte della madre, è cospicuo. Tra i beni figurano una villa nel centro di Milano, un capannone di 10mila metri quadri in via Mecenate e diverse società immobiliari. Tra gli immobili, anche un complesso immobiliare da almeno 14 milioni di euro dietro la stazione centrale di Milano.
I suoi consulenti e la sua ex compagna di cella nell’aprile del 2020 convincono ‘Lady Gucci’ a sottoscrivere una polizza vita “con un premio unico di 6,6 milioni di euro e indicando come beneficiari in caso di morte Loredana Canò al 34%“.
Tra le operazioni poco chiare finite sotto la lente dei pm c’è anche un’intervista rilasciata da Reggiani ad un network televisivo. In quell’occasione Pizzi, Chiesa e Canò “in concorso tra di loro” si sarebbero fatti “consegnare la somma in contanti pari a 15mila euro, inducendo i legali rappresentanti” della nota televisiva “a pagare in nero” quella somma per poter realizzare il servizio.
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