Guerra in Ucraina, giorno 94. Mentre sul terreno proseguono gli scontri e mentre le cancellerie europee e statunitensi provano a trovare un dialogo, i mercati internazionali risentono fortemente del conflitto tra Ucraina e Russia. Alcuni degli effetti della crisi li abbiamo già incontrati ma altri sono all’orizzonte e non colpiranno solo i Paesi interessati dalla tensione. Al quotidiano online Free.it l’ecomomista Mario Pianta, docente di Politica economica presso l’università di Urbino.
Dalla crisi del gas a quella del petrolio. Da quella dei fertilizzanti a quella, gravissima, del grano. Gli effetti della guerra tra Russia e Ucraina stanno diventando sempre più forti. E le conseguenze di questo cambiamenti degli assetti internazionali provocherà non pochi sconvolgimenti. Che riguarderanno anche l’Italia. In che modo cambierà l’economia globale? E quali sono i rischi anche per il nostro Paese? Al quotidiano online Free.it l’ecomomista Mario Pianta, docente di Politica economica presso l’università di Urbino.
Quali sono gli effetti della guerra sull’economia mondiale?
“Gli effetti della guerra in Ucraina sono profondi, radicati e difficili da prevedere. E segneranno in modo significativo l’evoluzione sia dell’economia italiana che di quella europea. Abbiamo effetti immediati come l’aumento dei prezzi dell’energia, della riduzione delle forniture di prodotti di gas, di materie prime come i cereali.
E anche di altri beni collegati al commercio diretto con la Russia e con altri Paesi interessati al conflitto. Abbiamo degli effetti sull’inflazione, perché queste tensioni sui mercati causano l’aumento dei prezzi di queste materie. E dunque abbiamo degli effetti su come si riorganizza ora la produzione internazionale.
Questi effetti si cumulano a quelli che ha avuto la crisi per la pandemia di covid -19. Perché in questi trent’anni di globalizzazione, le imprese si sono organizzate per realizzare diverse fasi di produzione. Attraverso complesse catene di fornitura di materie prime, semilavorati realizzazione di diversi prodotti, destinati a diversi mercati”.
Quali mercati?
“Sempre muovendosi su scala globale, le aziende si sono concentrate dove il lavoro costava meno. Ad esempio, in Asia orientale e in Cina si concentrava la produzione di attività ad alta intensità di lavoro, dove non c’erano regole aziendali. Ora queste aziende stanno investendo su altri Paesi come Marocco o Algeria e un po’ meno in Paesi che stanno già dentro l’Ue, come Romania e Bulgaria. Per rilocalizzare su una scala più piccola questo modelli produttivo”.
Questo che effetti può avere?
“Questo può voler dire che cambieranno i costi per le imprese, che cambierà la distribuzione dei posti di lavoro. E ovviamente l’Italia e l’Europa saranno caratterizzate da una forte incertezza, ma soprattutto dal rischio di nuove delocalizzazioni.
Ci saranno nuove fragilità dal punto di vista dell’economia, perché l’Europa da questo punto di vista è una specie di vaso di coccio tra gli Stati Uniti e la Cina, che non aspetta altro che riaffermare la propria capacità produttiva. La Cina ha avuta un leggerissimo calo del Pil, per effetto della pandemia e per la guerra ora. E ha avuto una ripresa dei mercati molto forte”.
Lo scenario internazionale, quindi, qual è?
“Lo scenario internazionale, dunque, è quello del rafforzamento della Cena in un contesto in cui le consuete regole internazionali sono messe in discussione dall’irrompere della guerra in Europa e anche dalle strategie messe in campo dagli Stati Uniti, che puntano molto sul fronte militare come strumento di riorganizzazione internazionale.
L’Europa in tutto ciò è un anello debole e rispetto alle politiche che ha fatto finora, deve trovare una nuova strategia. Creare una nuova strategia in un contesto in cui diventa importante consolidare le proprie capacità interne, evitare di perdere capacità produttiva e occupazione”.
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