Battaglione Azov, dopo settimane di combattimenti ininterrotti Mariupol è caduta definitivamente. L’acciaieria Azovstal, ultimo baluardo di resistenza della cittadina portuale, è finita nelle mani delle Forze Armate russe. Tra gli ultimi ad alzare bandiera bianca Svyatoslav Palamar: il racconto della mamma del vicecomandante dell’Azov al Corriere della Sera.
Lydia Vasylivna, 66 anni, tiene a spiegare che tipo di persona è suo figlio. “E’ buono”, dice dalla sua casa di Mykolaiv, a 30 chilometri da Leopoli. Le prime parole che spende per difendere il suo ragazzo, eroe in patria, nazista per molti, sono: “Non beve e non fuma”.
Uno degli ultimi a gettare la spugna, negli ultimi mesi Kalina (così Palamar si fa chiamare sul campo di battaglia), si è fatto conoscere attraverso i videomessaggi diffusi dai sotterranei dell’impianto siderurgico. Un ragazzotto di 39 anni, barba incolta e mimetica, che ha spaccato l’opinione pubblica. Un soldato devoto alla sua patria, rimasto nei tunnel dell’Azovstal fino all’ultimo. Anche quando il Presidente Zelensky rivolgendosi agli ultimi difensori di Mariupol dichiarava: “Lasciate stare, uscite”. Nell’intervista rilasciata al Corriere della Sera la mamma di Kalina, prova a riabilitare l’immagine del suo Svyatoslav: “C’è un’dea sbagliata del Battaglione Azov, frutto della propaganda russa. Non sono nazisti, sono nazionalisti“, sottolinea la donna. “Mi ferisce molto quando dicono che mio figlio è nazista”, aggiunge.
Battaglione Azov, le settimane di resistenza nei cunicoli dell’acciaieria: il racconto della madre di Palamar
Lydia racconta di averci parlato l’ultima volta il 20 maggio: “Erano le undici di mattina. Non lo sentivamo da tantissimo. Ci ha detto ‘ciao mamma, ciao papà, sto per uscire da Azovstal, da questo momento in poi non so quando riuscirò a sentirvi ancora, potrebbe passare tanto tempo’. E poi più niente”, spiega la donna.
Della vita nei tunnel dell’impianto siderurgico le diceva pochissimo: “Spesso ci mandava messaggi con solo un +“. Un messaggio in codice che significava “tutto ok, sono vivo”. “E noi aspettavamo quel segno per giorni“, racconta la madre.
Ora che suo figlio è caduto nelle mani dell’Esercito russo Lydia è in pessime condizioni. Non dorme, segue gli aggiornamenti sul conflitto tutto il giorno: “Mi manca mio figlio, non lo abbraccio da gennaio”, ammette. Oggi le speranze di rivederlo a breve sono ridotte quasi a zero e la paura che possa essere torturato dai militari russi è tanta. Ma la mamma di Kalina resiste e confida nell’operato del Presidente Zelensky: “Abbiamo molta fiducia in lui. Speriamo che negozi la liberazione dei prigionieri di Azovstal che hanno combattuto per la gloria di tutta l’Ucraina. Speriamo nessuno si dimentichi di loro“, conclude.