Parla in esclusiva per la prima volta Alberto Stasi, condannato a 16 anni per il delitto di Garlasco, nello speciale delle Iene dal titolo ‘Delitto di Garlasco: la verità di Alberto Stasi’. Le sue parole sull’omicidio di cui è accusato e quelle molto forti sulla condanna.
Nell’agosto del 2007 una ragazza di 26 anni, Chiara Poggi, viene trovata morta nella villetta di della sua famiglia a Garlasco, un tranquillo paese in provincia di Pavia. Il suo fidanzato Alberto Stasi viene da subito iscritto nel registro degli indagati.
Nel 2015, a otto anni dal delitto e dopo essere stato riconosciuto innocente per due volte, al quinto grado di giudizio viene invece condannato a sedici anni di carcere per averla brutalmente assassinata. Per tanti anni il protagonista di uno dei casi di cronaca nera più discussi nel nostro Paese è rimasto in silenzio, ma ora ha deciso di raccontare la sua verità in uno speciale del programma: “Le Iene“. Dal carcere di Bollate dove sta scontando la sua pena Stasi parla con Alessandro De Giuseppe e Riccardo Festinese, per raccontare come, secondo lui, sarebbero andate le cose, in una lunga intervista in cui il trentottenne si lascia andare parlando di Chiara, dei suoi genitori, dei magistrati, delle perizie, degli arresti che ha subito e dei processi, anche mediatici, che ci sono stati. Approfondendo quelle che lui ritiene siano state storture, forzature ed errori che hanno portato alla sua condanna.
“Ho deciso di parlare oggi per dare un senso a questa esperienza perché certe cose non dovrebbero più accadere. Se una persona vive delle esperienze come quella che ho vissuto io questa deve essere resa pubblica, a disposizione di tutti, e visto che ho la possibilità di parlare lo faccio, così che le persone capiscano, possano riflettere e anche decidere, voglio dire, se il sistema che c’è va bene oppure se è opportuno cambiare qualche cosa” racconta Stasi.
Si dichiara, come ha sempre fatto, innocente Stasi. E quando gli viene chiesto se ha ucciso lui Chiara, risponde subito: “Quando mi chiedono se ho ucciso io Chiara penso che non sanno di cosa stanno parlando”.
“Nell’immaginario comune un innocente in carcere è un qualcuno che soffre all’ennesima potenza. Per me non lo è, semplicemente perché la mia coscienza è leggera. La sera quando mi corico io non ho nulla da rimproverarmi” prosegue. Poi ricordando i primi momenti della vicenda con estrema lucidità, le sue parole arrivano dritte al punto. “Sono passati 15 anni ma in quegli anni i Ris di Parma erano un po’ mitizzati. La sera la gente guardava la televisione e li vedeva risolvere i delitti più complicati nel tempo di un episodio. Scoprire che in realtà le persone venivano portate in carcere sulla base di test che non distinguevano il sangue da una barbabietola, illuminava una situazione che si pensava diversa. Ecco perché dico che quel momento fu come un punto di non ritorno”.
“Non si trattava più di svolgere un’indagine ma si trattava di salvare la propria carriera, la propria reputazione. Questo poi ha comportato tutta una serie di conseguenze di inezie, di incapacità di tornare indietro, non so se mi spiego. Per ammettere i propri sbagli bisogna avere coraggio, carattere. Il Pm non è mai andato a dire ‘Questo provvedimento era prematuro’, perché poi l’accertamento definitivo risultava, appunto, negativo”. Uno dei due intervistatori Alessandro De Giuseppe gli chiede poi se ha già progetti per quando uscirà dal carcere: “Oggi ho 38 anni e ho in mente di mettere a frutto tutte le esperienze negative che ho vissuto, un bagaglio conoscitivo che non può essere acquisito diversamente. Certe cose non le puoi metabolizzare se non le vivi” dice amaramente Stasi.
La lunga intervista si conclude con un pensiero per giudici che hanno emesso la sentenza contro di lui. “Cosa vorrei dire ai giudici che mi hanno condannato? Non saprei perché sono, in qualche modo, e in negativo, i protagonisti di questa vicenda. È difficile arrivare alla mente e al cuore di quelle persone. Il loro non è un mestiere banale, ha conseguenze sulla vita delle persone, come un medico in sala operatoria” dice.
E conclude: “Ci sono lavori che non comportano queste responsabilità, altri invece sì. Se si decide di intraprendere un certo lavoro, una certa carriera, deve essere fatto in modo coscienzioso perché poi anche lì entrano dinamiche normali, di lavoro. La carriera, l’ambizione, il posto in un’altra sede, tutte cose che non dovrebbero avere nulla a che fare con la giustizia”.
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