Accusati di Caporalato, tre aziende agricole sfruttavano centinaia di braccianti in nero. Costretti a lavorare per meno di 3 euro all’ora in condizioni disumane e sotto minaccia dagli imprenditori
Condizioni poco umane, assenza di contratti e una paga misera. Centinaia di braccianti, sia italiani che stranieri, erano così costretti a lavorare per 2,5 euro all’ora 15/16 ore al giorno.
Le indagini della Procura di Livorno hanno portato al fermo tre imprenditori toscani titolari di altrettante aziende agricole della “Costa degli Etruschi”, in Maremma.
Accusati di caporalato, i tre imprenditori avrebbero reclutato centinaia di lavoratori “in nero” tra Livorno e Grosseto. In busta paga meno di 3 euro al giorno e contratti falsificati.
La giornata lavorativa prevedeva non meno di 15/16 ore di lavoro a fronte di una paga di 2,5 euro l’ora. I contratti stipulati tra gli imprenditori e i braccianti “in nero” non prevedevano né ferie retribuite e né copertura previdenziale e assicurativa. Ciò che invece era presente costantemente erano le minacce di licenziamento e le infinite aggressioni verbali.
Da una indagine avviata nel luglio del 2019 dalla Guardia di finanza di Piombino (Livorno), queste erano le assurde condizioni di lavoro, cui sarebbero stati sottoposti centinaia di braccianti agricoli.
Non contenti, i tre imprenditori accusati di caporalato, avrebbero costretto diversi lavoratori a vivere in affitto in un casolare abusivo adiacente alle aziende agricole. Le condizioni igienico-sanitarie sono risultate pressoché inesistenti o precarie.
Inoltre, come riportato da iltempo, mancava il riscaldamento e l’acqua potabile. L’abitazione di fortuna non era, però, concessa gratuitamente ai lavoratori, ma il costo dell’affitto, stabilito dagli imprenditori, veniva sottratto dalla retribuzione già misera dei “dipendenti in nero”.
Al termine delle indagini, i finanzieri piombinesi hanno accusato i tre imprenditori per il reato di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro.
Nel frattempo, i tre indagati, dopo aver ricevuti gli avvisi di garanzia, hanno subito pagato le sanzioni amministrative versando nelle casse dell’Erario circa 5.800.000 euro.
I tre uomini indagati, oltre alla constatazione dei reati penali sono responsabili anche di violazioni in materia fiscale. Infatti, gli imprenditori non hanno dichiarato redditi per oltre 2.000.000 di euro. Inoltre, hanno omesso versamenti di Iva e altre imposte per circa 600.000 euro.
Emersa anche un’altra sanzione di oltre 150.000 euro per gli affitti “in nero” del casolare abusivo di proprietà degli indagati che i lavoratori erano costretti a pagare.
Gli accertamenti dei finanzieri hanno riguardato anche i contributi dell’Unione europea che i tre indagati avrebbero ottenuto, tramite fondi strutturali Feasr, nell’ambito della Politica Agricola Comune (PAC).
Sono emerse diverse irregolarità anche in questo caso commesse dagli stessi indagati. In sostanza avrebbero falsificato alcuni requisiti previsti per ottenere i contributi economici.
I tre imprenditori sono stati denunciati anche per il reato di truffa aggravata ai danni dello Stato e dell’Unione europea per una somma complessiva di ben 151.000 euro.
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