Da profugo in Turchia a operatore umanitario a clandestino, ricercato sia in Siria sia nel Paese che lo aveva accolto. Questa è solo una parte dell’odissea di Anas Al Mustafa. Che adesso, però, grazie alle Nazioni Unite potrebbe finire bene. E magari in Italia. Ecco perché.
“Grazie a Dio, finalmente dopo 2 anni di sofferenze e deportazioni è tutto finito”. È con queste parole che Anas Al Mustafa, 41 anni, ha accolto la decisione delle Nazioni Unite che gli hanno riconosciuto il diritto ad ottenere protezione internazionale.
L’Onu ha condannato la Turchia – dove Anas si era rifugiato nel 2016 dopo essere fuggito dalla Siria – per averlo espulso ingiustamente nel 2020. E ora, se vorrà, potrà chiedere e ottenere asilo anche in un altro Paese europeo. Magari in Italia, com’era nei suoi progetti.
La storia di Anas tra Siria e Turchia
Quella di Anas è una storia di guerra. Ma anche di impegno nei confronti di altre famiglie e minori, che come lui, sono riusciti a fuggire dall’Isis e dal regime di Assad. Dopo essersi rifiutato di impugnare le armi, nel 2016 Anas è scappato dalla sua città natale, Aleppo, e si è stabilito a Konya, città turca sull’altopiano centrale dell’Anatolia. Ha imparato la lingua, ottenuto asilo e ha costituito la Ong ‘A Friend Indeed’, che aiuta 175 famiglie siriane e 400 bambini anche non accompagnati.
Quattro anni di lavoro che sono stati “spazzati via” di colpo nel maggio 2020. Anas è stato portato alla polizia, con la scusa di un controllo del permesso di soggiorno. In commissariato gli hanno requisito il documento d’identità e il telefono ed è stato imprigionato. “È stato identificato come una minaccia per la sicurezza nazionale turca a causa del suo lavoro umanitario”, ha detto il suo avvocato, Kurtulus Bastimar, che ha presentato il ricorso alle Nazioni Unite.
L’arresto e l’espulsione illegittima dalla Turchia
In cella ha trovato altri profughi, arrestati come lui con gli stessi pretesti. Gli agenti gli hanno fatto pressioni per fargli firmare il documento di espulsione. Di fronte al suo rifiuto, lo hanno minacciato. E quando ha chiesto di che cosa fosse accusato, i poliziotti gli hanno detto che avrebbero “scelto per lui l’accusa più semplice”.
Alla fine Anas ha firmato. Il giorno dopo, lui e gli altri connazionali sono stati portati al confine siriano e lasciati in un rifugio. In patria, però, Anas, che era molto conosciuto per la sua attività umanitaria, rischiava la vita. A quel punto è fuggito a piedi attraverso le montagne, fino a raggiungere Aleppo. Per evitare una condanna come disertore dal regime di Assad, ha vissuto nascosto per diversi mesi. Poi è rientrato in Turchia, dove, da immigrato clandestino, continua la sua attività umanitaria.
I ricorsi alla Corte Europea e all’Onu
Nel frattempo, il suo avvocato italiano, Chiara Modica Donà Delle Rose, insieme al team del suo studio legale, ha presentato ricorso alla Corte europea dei diritti dell’uomo, ma l’istanza è stata respinta. Secondo la Corte, Al Mustafa non ha aveva ancora percorso tutte le opzioni offerte dall’ordinamento turco per evitare il rimpatrio. L’espulsione, tuttavia, non era avvenuta secondo un procedimento corretto dal punto di vista legale e Anas non avrebbe mai potuto opporsi.
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Adesso il gruppo di lavoro delle Nazioni Unite, dopo aver esaminato il suo caso, gli ha dato ragione. Per il gruppo di lavoro sull’ingiusta detenzione, Al Mustafa “è stato privato della libertà per motivi discriminatori. Vale a dire la sua origine e il suo status di difensore dei diritti umani” grazie alla sua Ong che aiuta altri profughi. Le Nazioni Unite hanno sollecitato il governo turco “a garantire ad Al Mustafa protezione ai sensi del diritto internazionale, consentendogli di rimanere in Turchia e regolarizzare il suo status giuridico, o di facilitare il suo reinsediamento in un paese terzo”. Dopo queste decisione Anas potrebbe ottenere il visto per andare in Italia, dove ha ricevuto un’offerta di lavoro da un’organizzazione umanitaria e dove potrebbe continuare senza rischi il suo lavoro.