Elon Musk e le sorti del mercato globale: appena si è saputo del suo interesse per Twitter, le quotazioni sono cambiate. Il piano B.
Che Elon Musk fosse caparbio era cosa nota, ma che diventasse anche un gigante della finanza e dell’economia non era scontato. Sembrava, però, possibile fin da subito: quando decise di mettere a frutto il suo talento e passione per la tecnologia. Adesso l’uomo ha tutto quello che si possa desiderare, non c’entrano solo i soldi: Musk ha il potere, che è una ricchezza ancora più grande.
Meno formale, ma se possibile più coercitiva: basta una sua parola per cambiare i destini del mercato globale. Così è stato pochi giorni fa, quando ha messo le mani sul 10% di Twitter: mai nessuno era arrivato a tanto. Poi l’offerta definitiva: 42 miliardi per averlo. Tipo presente di Pasqua, ma le uova d’oro se le sarebbe godute qualcun altro.
La sola indiscrezione di una possibile chiusura di trattative ha raffreddato tutto: l’affarista vuole prendere Twitter per creare una piazza telematica a propria immagine e somiglianza. Libera, profonda e aperta a chiunque. Quello che, secondo Musk, l’uccello azzurro più celebre del mondo non ha più.
Il disegno, tuttavia, è un altro: la Giustizia, l’eguaglianza e i diritti online. Tutto molto bello, ma la comunicazione sommersa lo è ancor di più. Il fondatore di Tesla sa benissimo che attraverso Twitter, oggi più di qualsiasi altra cosa, passano le fonti: mercati, agenzie, industriali, governatori.
Sono tutti attaccati agli hashtag: lui li vuole controllare con il “pretesto” della libertà di espressione. Liberi tutti, al cospetto di un uomo ancor più ricco dove la differenza non la fanno i soldi, ma le informazioni. Twitter è un registro ambulante del mondo che cambia: possedere, creare e modificare algoritmi avrebbe conseguenze importanti nella vita quotidiana.
Motivo in più per cui i mercati, non appena hanno saputo del suo stallo nell’acquisire il titolo del social, hanno azzerato i guadagni: gli azionisti sono interessati a Musk prima ancora di quel che fa. Se dal quartier generale di Twitter gli fanno muro, lui ha già pronti due espedienti.
Il primo è quello di puntare non alla totalità delle quote dell’uccello azzurro per antonomasia, bensì alla maggioranza qualificata. Cosa significa: in questo modo potrebbe convertire Twitter in una private company non quotata in borsa. Questo, per uno come lui, vorrebbe dire più flessibilità, meno controlli e maggiore gestione. Tradotto: più introiti senza la lente di ingrandimento degli indici di mercato.
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Il secondo riguarda le pubblicità legate a questa operazione: ovvero Musk potrebbe restituire le quote fin qui acquisite vendendole nuovamente agli attuali proprietari con gli interessi che erano – prima delle ultime news sullo stallo – schizzate alle stelle. Il ricavo sarà un tesoretto, per usare un eufemismo, con cui mettere in piedi una società telematica parallela pronta a fare concorrenza nei social media (e non solo) a Twitter. Comunque vadano le cose, Musk sembra avere il coltello dalla parte del manico: dovrà solo decidere come usarlo.
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