Vogliono ottenere “verità e giustizia” i familiari di 150 ospiti del Pio Albergo Trivulzio che tra marzo e aprile 2020 hanno preso il Covid e sono morti. E si sono opposti alla richiesta di archiviazione delle indagini avanzata dalla Procura.
Da due anni i parenti degli ospiti della ‘Baggina’ morti dopo aver preso il Covid chiedono alla magistratura di fare luce sulla fine dei loro cari. E soprattutto di indagare per capire se all’interno della Rsa più grande d’Italia ci sia stata una sottovalutazione dei rischi legati al contagio. Un percorso complesso e tutto in salita, che adesso è arrivato ad una svolta. Forse decisiva.
Davanti al gip di Milano Alessandra Cecchelli, i familiari di 150 pazienti che erano ricoverati al Pio Albergo Trivulzio nelle prime fasi della pandemia e che sono morti per il Covid si sono opposti alla richiesta di archiviazione avanzata dalla Procura. Inizialmente il dai pm Mauro Clerici e Francesco De Tommasi avevano iscritto nel registro degli indagati il direttore generale del Trivulzio, Giuseppe Calicchio. Epidemia colposa e omicidio colposo plurimo i reati ipotizzati. Poi l’inchiesta si è dovuta fermare di fronte alla difficoltà di provarne eventuali responsabilità.
I familiari delle vittime, riuniti nell’associazione Felicita, hanno vogliono che quelle indagini siano approfondite. Tramite il loro legale, l’avvocato Luigi Santangelo, hanno chiesto anche l’imputazione coatta per il direttore generale del Pat, Giuseppe Calicchio, per la dottoressa Rossella Velleca, dirigente dell’Unità operativa semplice della Rsa.
Perché per i pm l’inchiesta va archiviata
Oltre ai familiari dei pazienti, anche di medici, infermieri e Oss avevano denunciato. Hanno raccontato che non si dovevano indossare le mascherine “per non spaventare gli ospiti”. Non si isolavano i pazienti che mostravano i sintomi del Covid dagli altri. Spesso chi stava male non veniva nemmeno inviato in ospedale. Per tutti, il contagio sarebbe partito all’arrivo nella struttura di persone dimesse dagli ospedali ma non ancora negative.
Una circostanza che per i pm è difficile da provare con certezza. Come si legge nella richiesta di archiviazione, “non è risultato comunque in alcun modo tracciabile in termini di significativa certezza il percorso dell’infezione, dall’ingresso nella struttura alla diffusione nei diversi reparti”.
Se il dg Calicchio avesse disposto “l’adozione tempestiva” di mascherine, screening e isolamento dei pazienti contagiati, per i pm “con ogni verosimiglianza la diffusione del contagio all’interno del Pat”. In ogni caso, a posteriori, non si può stabilire con certezza un “nesso di causalità” tra le decisioni di Calicchio e i tanti decessi.
Il Trivulzio era “nella media” per numero di morti
“Dal punto di vista epidemiologico – ha ricordato in aula pm Mauro Clerici – l’eccesso di mortalità” al Trivulzio “è nella fascia mediana rispetto ad altre Rsa” milanesi e lombarde colpite ancor più duramente dal Covid.
Posizioni condivise dall’avvocato Vinicio Nardo, difensore del dg del Trivulzio Calicchio. Il legale si è associato alla richiesta di archiviazione della Procura. In aula ha ricordato che la Rsa ha rispettato le direttive impartite sia parte dell’Istituto superiore di sanità sia dell’Oms. Nelle prime fasi della pandemia, infatti, i tamponi e le mascherine erano riservati agli ospedali e non a strutture socio sanitarie come il Trivulzio. Il gip Alessandra Cecchelli si è riservata e la decisione, verosimilmente, arriverà dopo Pasqua.
I familiari dei pazienti chiedono giustizia
“Nel corso dell’udienza sono state espresse tutte le criticità e la gravità dei fatto accaduti al Pio Albergo Trivulzio”, ha detto Alessandro Azzoni, presidente dell’associazione Felicita, lasciando il Tribunale. “Noi familiari – ha aggiunto – chiediamo che sia fatta luce fino in fondo sulle gravi negligenze che sono state evidenziate anche dai pm nel corso delle indagini”.
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“La nostra ricerca di verità e giustizia vuole avere un riscontro – ha concluso Azzoni -. Siamo fiduciosi che nei prossimi giorni il giudice accolga le nostre richieste di imputazione coatta del direttore generale del Trivulzio, Giuseppe Calicchio, e di eventuali altri responsabili”.