Abramovich nel baratro: l’oligarca russo non sta passando un bel periodo. C’è chi sta peggio in Ucraina, ma l’ex Chelsea mastica amaro.
Abramovich, le bombe iniziano a deflagrare. Non si tratta, soltanto, di quelle su Bucha e Kyiv – centri nevralgici della guerra in Ucraina che vessa anche civili inermi con attacchi senza pietà neppure per i bambini – ma anche di quelle che l’economia sta lasciando sul proprio cammino conflittuale delle ultime settimane. Perdere titoli e patrimonio non è come perdere sangue, ma si soffre ugualmente.
Specialmente per chi era abituato a schioccare le dita per avere il mondo idealmente stretto in una mano: sono gli oligarchi russi, manager, magnati e imprenditori che viaggiano a sei zeri. Loro, inghiottiti dalle sanzioni e dal pugno duro dell’Europa affinché si possa trovare un accordo di pace, stanno perdendo tutto. Un po’ alla volta il piatto piange: portafoglio non più gonfio come un tempo che, fortunatamente per loro, non è ancora lontano ma potrebbe diventarlo presto.
Diversi, infatti, sono gli industriali e manager che dovranno reinventarsi: la Madre Russia non allatta più come un tempo e altrove sono ospiti indesiderati. Abramovich è quello con più problemi perchè deve scontare anche la vicinanza con Putin. Anni e anni l’uno affianco all’altro: l’ex Chelsea era presente anche ai primi negoziati per la pace.
Scelte che si pagano, in tutti i sensi, perchè i leader europei – finché non si troverà una soluzione e probabilmente anche dopo – saranno tutt’altro che clementi con quella porzione di Russia che strizza l’occhio al conflitto anziché cercare di arginarlo. Se non bastano, in tal senso, i messaggi del Papa, ci penserà la finanza.
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Forbes, infatti, stila la classifica dei manager, uomini d’affari, oligarchi e magnati russi che hanno perso maggiormente durante la guerra: queste prime settimane di conflitto hanno dato un’assestata considerevole all’assetto dei grandi affaristi. Abramovich è tra i primi general manager che risultano essere compromessi: dati alla mano si parla di un calo pari a 7,6 miliardi. Di questo passo la sostenibilità dell’ex Chelsea sarà compromessa, perchè a rischio non c’è solo il portafogli ma anche il blasone.
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